Davide Vero
Attraverso uno slum : attori e parole, storia e interpretazione della segregazione socio-spaziale nella città (in)visibile : il caso della Villa 15 a Buenos Aires.
Rel. Filippo De Pieri. Politecnico di Torino, Corso di laurea magistrale in Architettura Costruzione Città, 2013
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Abstract: |
Città fragile: Buenos Aires, la città, la scenografia di una lettura. Tra confini naturali ed umani, in una griglia urbana di quasi seicento anni, dove la Storia e le storie degli uomini si sono succedute tra parole sferzanti e leggere, immagini più o meno sfocate, sogni infranti, cadute e nuove speranze. Cicatrici del passato, tangibili negli occhi dei suoi abitanti, meno nei tracciati e sui muri della città fisica; a patto che non si sappia e si cerchi di vedere, oltre. I segni, ben presenti, delle migrazioni che portavano e che continuano a portare capitale culturale e sociale, non solo il desiderio di un cambiamento e valige, spesso, di niente. Tecniche, linguaggi, conoscenze altre che hanno reso Buenos Aires una capitale mondiale, centro di attrazione per tutto il Sud America e al di là dell’Oceano. Persino Le Corbusier ne rimase profondamente colpito: “mare e porto, la magnifica vegetazione del parco di Palermo, il grande cielo blu dell’Argentina ”, la città rispettava i suoi ideali di “spazio, luce e ordine ” e sarebbe stata la musa, a cavallo delle due Guerre, per una proposta di piano urbanistico ideale, il Pian Director para Buenos Aires. Piano che non venne mai portato a compimento, nonostante che quasi profeticamente molto di quello che era stato immaginato venne realizzato nel corso dei decenni e la sua dottrina risuoni ancora nelle aule universitarie in una matrice di riferimento. Così i paradigmi si rincorrevano e continuano a farlo nel suo cielo, anche più velocemente di quanto soffi il vento, veloci le nuvole cambiano di forma, attratte e sospinte da processi esogeni ed endogeni. Intanto la città cresce, supera i confini imposti, prende e si riversa in ciò che era campagna, la pampa. Senza più controllo, vasta e sconosciuta, con i suoi tredici milioni di abitanti nell’area metropolitana. Una megalopoli, che come altre grandi città sudamericane e non, presenta una dimensione difficilmente quantificabile, questo perché le unità di misura finora utilizzate risultano inadeguate e anacronistiche, poiché non riescono a cogliere la trasformazione, il nuovo e vero volto della città. In apparenza senza identità, distante dai cittadini e dalle istituzioni prova a fermarsi, definendo limiti geografici e politici, giurisdizioni tra pari. Le regole e le pratiche, potenziali opportunità per le strategie di azione, risultano spesso contraddittorie se non addirittura limitate e limitanti, concorrendo ad aumentare la forbice tra ricchi e poveri e soprattutto fra il progetto della realtà e la realtà stessa. Lo stato di pericolo è socialmente percepito a tutti i livelli e la paura (tipica dell’età contemporanea) del cambiamento portano ad uno scollamento, ad una realtà individualistica e conflittuale. E’ l’eterno scontro (-incontro), la dicotomia, rappresentata da pubblico-privato, città-campagna, Nord-Sud, antico-moderno che in Buenos Aires trova la sua massima forma nel binomio civiltà-barbarie coniato nel 1845 dal presidente argentino Domingo Faustino Sarmiento. La dualità perfettamente ritratta e rappresentata dallo scrittore Julio Cortazar, i Cronopios e i Famas, due personaggi, due modi opposti di vivere che si contrappongono nel romanzo che da loro prende il nome. Due poli che lo storico dell’architettura argentino, Jorge Francisco Liernur, rivede nella coppia razionale-irrazionale. Il primo, subordinato a modelli esterni, “civilizzati ’, sulla scia culturale europea e nordamericana, e il secondo, la “barbarie”, il mondo idilliaco e folkloristico, eternamente alla ricerca di Arcadia, la condizione utopica della vita. La stessa città appare così divisa tra un nucleo centrale ricco e frenetico e una massa marginale senza diritti e segregata, un’opposizione spaziale che la rende escludente e non più includente, come storicamente avvenuto e come insito nel suo stesso carattere di città. I nuclei urbani hanno da sempre esercitato un’attrazione nei confronti dell’intorno e soprattutto dei suoi abitanti, rappresentando un’opportunità di crescita, il lavoro e la casa. Sogni e desideri individuali che hanno arricchito la città nella sua interezza, contribuendone alla sua evoluzione. E’ la speranza, l’attesa del cambiamento, seme del futuro che Walter Benjamin ripercorre nel suo viaggio fra le città, tra le loro immagini. L’esplorazione. “Le città crescono, si svuotano, si addensano nelle aree centrali, si dilatano, si spargono sul territorio, in virtù dei loro legami con l'esterno, a causa dei cambiamenti che avvengono nell’organizzazione del lavoro, nei processi tecnologici, nelle reti di comunicazione. Eppure l'esperienza diretta ci insegna la molteplicità delle storie, l’incomparabilità sostanziale dei percorsi, quando si voglia o si sappia vedere. Ed è a partire dalla diversità che si possono finalmente scorgere le similitudini e, magari, comprendere meglio i territori futuri.” (Giorgio Piccinato, Città del mondo) I territori futuri, l’oggetto della ricerca, attraverso il passato, partendo da un presente. In un clima di omogeneizzazione, di differenze appiattite o dimenticate, paesaggi sconosciuti e città generiche. Racconti scuri di una realtà persa, troppo veloce e poco attenta, violenta quanto spaesante nella sua esperienza. L’ “aperta e accogliente foresta di mangrovie” di Rem Koolhaas, la Città Generica, un gigantesco aeroporto contemporaneo, “superficiale”, senza identità ne storia; dove gli abitanti vivono in una sorta di placenta fatta di efficienza, sensualità e ripetizione. I non-lieux1 della contemporaneità dove si è tutto fuorché cittadini, consumatori voraci del quotidiano. Ma sotto questa pelle uguale e spettacolare esiste qualcos’altro? Non ci si può fermare ad uno sguardo riduttivo, la città ha molte forme, riscontrabili negli spazi fisici, nelle sue pratiche e tra le esperienze dei cittadini, non solo singoli ma anche intere collettività. Un racconto che vuole partire dall’interno, un tassello, un fenomeno delle città ma con caratteristiche e modi differenti, quella che viene chiamata comunemente chiamata : urbanizzazione informale. E’ chiara l’opposizione con formale, il suo apparente contraltare, ovvero a quello che siamo abituati a vedere e costruire, l’immagine costituzionalizzata ed accettata della città. II caso preso in esame è quello di Buenos Aires dove si contano ventuno insediamenti informali, quelli riconosciuti, ma si da per certo il loro continuo aumento. La loro popolazione stimata è più di duecentomila abitanti2, ma mancano censi recenti ed affidabili che possano realmente testimoniare e definire il fenomeno. In Argentina gli insediamenti “illegali” e “informali” vengono chiamati villas miserias o villas de emergencias o semplicemente villas e i loro abitanti villeros. Nella capitale sono sorti sia all’interno della Ciudad che nelle aree periferiche della Provincia, nonostante la tendenza ad una visione unificatrice ed omogeneizzante sia forte e diffusa, molte sono le differenze tra loro, ogni insediamento, infatti, conserva la sua identità e la sua storia, pur rimanendo nella loro marginalità. Più facile è cadere nella semplificazione, più difficile è registrare la disuguaglianza e soprattutto misurarne l’impatto sulla città, riconoscendone il ruolo fondamentale, non solo a livello economico, ma anche sociale. Spesso rimangono solo i giudizi negativi e le stigmatizzazioni che ruotano intorno a degrado, povertà e crimine. Gatedcommunities che si contrappongono a quelle dei ricchi, che si costruiscono per protezione in altre parti di città, barrios cerrados e villas miserias, due facce della stessa città. La segregazione residenziale e sociale, quella dei “poveri'’, prende forme e nomi diversi; così che potremo incontrarla con il nome di favelas in Brasile, pueblos jovenes in Perù, gli slums in India, le bidonvilles africane e così via, ognuna con i propri distinguo, le proprie caratteristiche e la sua memoria. L’approccio vuole essere apertamente “umano”, un’analisi diacronica, secondo una prospettiva dinamica ed evolutiva. Partire dagli uomini dunque, scegliendo come veste iniziale quella delle interviste e dei racconti, racconti di vita. Attraverso le parole dei protagonisti si vuole costruire il contesto, quello di un paese, della sua capitale e delle sue forme di abitare con particolare attenzione a quella informale. Leggere gli scenari attraverso i loro attori, a seconda che essi siano abitanti, decisori politici, accademici o professionisti, ognuno con il proprio bagaglio e con le proprie convinzioni. In secondo luogo il tema del linguaggio, il mezzo utilizzato dall’uomo per comunicare ed esprimersi, inteso come costruzione di un confine, di una divisione fra campi e significati. L’attenzione alla storia reale, a quella delle “réalités" piuttosto che a quella delle “répresentations” con le sue continue variazioni, spostamenti di significato nel tempo e fra i codici, ovvero tra una lingue e un’altra. Spesso, infatti, il significato delle parole cambia attraversando l’oceano o varcando anche solo un confine, non per forza geografico. Ascoltando le persone si può osservare il quotidiano e le sue conflittualità, attraverso le migrazioni dei termini si può constatare un atteggiamento diffuso di segregazione e stigmatizzazione delle aree urbane degradate. Partire da alcune parole, comela stessa villa, serve ad introdurle in un contesto critico nuovo, accendendo una luce per fare chiarezza su una realtà apparentemente distante, ma che lo è solo a livello di latitudine, un’attenzione al plurale per comprendere la storia e probabilmente quei territori futuri di cui parlava Giorgio Piccinato. II contesto come obiettivo, inteso nell’accezione di Ernesto Rogers, non solo come intorno fisico ma più come evoluzione storica, un continuum che parte dalle radici, dai fatti che testimoniano una città eternamente divisa, nelle sue forme di abitare mutevoli nel tempo, di cui rimangono alcune tracce o di cui invece si possono ancora vedere le continue trasformazioni, La lente vuole poi mettere a fuoco il fenomeno delle villasmiserias all’interno della Capital Federai ed in particolare il caso specifico di una di queste, la tristemente nota Ciudad Oculta o Villa 15, con il suo nome istituzionale, introdotto nel periodo della dittatura militare (1976-1983), quando gli insediamenti informali : nomi erano stati individuati e numerati. La lettura qui si fa più serrata, l’attenzione si concentra sulle relazioni con la città regolarmente costituita, sulla svia strabiliante omplessità, sidla sua immagine di città nella città. Un tentativo di misurazione, eppur difficile attraverso quantità, qualità e differenze, per come appaiono ai "ondo I nostri occhi. In ultimo il tentativo più difficile, interpretarla, proponendo un progetto urbano ed architettonico singolare, poiché fatto su un singolo edificio, il più rappresentativo della Villa 15: il grande mostro abbandonato, l’elefante Bianco, quello che doveva essere il più grande ospedale del Sud America e che ora si presenta come un gigantesco scheletro, un fossile di settant’anni, incastrato in un alveare di baracche, costruzioni senza fine e stretti passaggi. L’elefante appare così come un’immensa cattedrale immersa nel tessuto informale, una distesa di tetti in lamiera che si alzano e si abbassano, dalle più disparate dimensioni, confinati e racchiusi dalla città. Guardandolo dall’alto sembra un borgo medioevale, vorace ed intricato, violento e seducente tanto che alla luce del sole e in particolare al tramonto sovviene il ricordo delle parole di Zola, i suoi occhi guardano una Parigi adagiata ai suoi piedi. “A quell’ora, sotto il sole obliquo de pomeriggio invernale, Parigi appariva disseminata da uno spolverio luminoso come se qualche invisibile seminatore, celato nella gloria dell’astro, avesse gettato a piene mani le sue bracciate di grani, il cui fiotto d’oro ricadeva da ogni parte. L’immenso campo dissodato ne era coperto, il caos senza fine dei tetti e dei monumenti altro non era che terra arata di cui un qualche gigantesco aratro avesse scavato i solchi.” (Emile Zola, Paris)
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Relatori: | Filippo De Pieri |
Tipo di pubblicazione: | A stampa |
Soggetti: | A Architettura > AO Progettazione G Geografia, Antropologia e Luoghi geografici > GE Geografia R Restauro > RA Restauro Artchitettonico U Urbanistica > UL PVS Paesi in via di sviluppo |
Corso di laurea: | Corso di laurea magistrale in Architettura Costruzione Città |
Classe di laurea: | NON SPECIFICATO |
Aziende collaboratrici: | NON SPECIFICATO |
URI: | http://webthesis.biblio.polito.it/id/eprint/3368 |
Capitoli: | Prologo - Città fragile - L’esplorazione 1. Ascoltare la distanza - Interviste e storie di una città, cambiamenti e forme ai margini - Clorindo Testa / La mia città è Buenos Aires - Javier Fernández Castro / Progettare nelle villas, l’integrazione alle diverse scale - Ricardo De Sárraga / Le villas, la Villa 15, territori di conflitto - Maria Beatriz Rodulfo / Il ruolo delle politiche abitative nella costruzione dell'odiemo scenario urbano - Veronica Paiva / Economie informali nella città formale, i cartoneros di Buenos Aires - Germán Laurora / ONG nella villa, un aiuto al crescere - Chavela / Lavorare dall’interno per il cambiamento - Natalia / Una finestra, dentro 2. Il peso delle parole - Il linguaggio nella costruzione della città - Sur - Informale - La villa argentina e le altre nel mondo - Slum - Bidonville - Favela - Villa miseria 3. Il tempo di Buenos Aires - Una città-stato in equilibrio precario - La genesi, da colonia a capitale - Il cambiamento, progresso è trasformazione - Il miraggio, l’Eldorado argentino - Verso il Pian de Buenos Aires, la visione di Le Corbusier - Il baratro, la crisi e il buio “infame” - La terza via, il Peronismo tra luci ed ombre - Il Desarollismo, tentativi di sviluppo e fantasmi del passato - Il ritorno di Perón, la fine e il discredito della politica - Il violento Processo, la Guerra Sporca travestita da Riorganizzazione Nazionale - La democrazia finalmente, sogni e speranze a tempo - L’incubo reale, la crisi del 2001 - Il fattore K, l’oggi della dinastia Kirchner 4. Verso Io slum - Partire dalla memoria storica - Guardare la città - La città, da diffusa a generica, finisce - Lo sprawl diventa slum - Accampamenti-città - Il pezzo di città, povero e diseguale - La sfida degli slums - Slums al plurale: molti, diversi e complessi 5. Villas a Buenos Aires - Da quartiere a villa - La condizione di emergenza e miseria - Villa 15, la “città nascosta” 6. Sottosopra - A mo’ di chiusa Bibliografia Ringraziamenti |
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