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Il restauro del contemporaneo: le stazioni di servizio nello scenario internazionale della conservazione.

Susanna Caccia

Il restauro del contemporaneo: le stazioni di servizio nello scenario internazionale della conservazione.

Rel. Emanuele Romeo, Orio De Paoli. Politecnico di Torino, Corso di laurea specialistica in Architettura (Restauro E Valorizzazione), 2011

Abstract:

Stazioni di servizio: un patrimonio diffuso lungo vie di scorrimento veloce e per questo percepito da sempre distrattamente. Le ragioni di questo "daltonismo" estetico sono molte e tra queste, il prevalere dei valori di consumo immediato e il rapporto con un sito di transito. A fronte di un'indifferenza che ha portato alla scomparsa della gran quantità di architetture costruite soprattutto tra gli anni'30 e gli anni '60 del Novecento, è la ricchezza straordinaria dei materiali che emergono dalle fonti aziendali italiane e straniere. Di queste fonti, e non solo, si avvale questo studio che cerca di indagare con occhio multidisciplinare la ricchezza di contenuti figurativi e simbolici delle stazioni di servizio. In controluce è una società in transito, che attraversa il mondo percependo il distributore come l'oasi nel deserto reale o figurato della società metropolitana. Sono i luoghi della sosta che rispondono al desiderio di benessere del viaggiatore, ma un benessere fugace segnato dall'incapacità di "vedere". Eppure, "alcuni" hanno percepito la bellezza che sta dietro questi luoghi emarginati, hanno carpito la solitudine e la ricchezza dei sentimenti legati all'abbandono e alla desertificazione, hanno restituito a questi luoghi la consapevolezza del quotidiano, della loro appartenenza alla società contemporanea. Si tratta di artisti della cultura pop e dell'iperreale, a partire da Edward Hopper e Ed Ruscha, che catturano l'essenza della strada e i nuovi valori totemici. L'oggetto della quotidianità è così riscattato dall'indifferenza della percezione collettiva: se ne offre un' identità e se ne fa conoscere i valori di memoria dell'architettura al punto di rendere "monumento" le stazioni di servizio. L'artista spesso poi riesce a cogliere la bellezza celata dietro quel preciso istante che precede l'abbandono. Un tema che ritorna più volte nelle arti del Novecento, siano esse plastiche o cinematografiche, e che porta a isolare dal contesto i singoli oggetti, densificando lo spessore suggestivo del rimando e delle sue interrelazioni col luogo. Così le icone delle aziende abbandonate in atmosfere rarefatte esprimono una nozione di spazio intangibile che si trasforma in un nuovo concetto di ambiente e di paesaggio. L'architettura delle stazioni di servizio e il paesaggio della strada contribuiscono alla rimodellazione dell'identità, dei modi di vita, dei comportamenti della società moderna. Riconoscere anche questo significato che sta dietro le permanenze di qualità del paesaggio stradale porta a riconsiderare il progetto di valorizzazione e di innovazione. L'individuazione delle permanenze, di cui oggi solo un'esigua parte entra nella lista del patrimonio italiano tutelato è l'obiettivo centrale di questo studio, soprattutto attraverso il raffronto con lo scenario internazionale della tutela. Il repertorio schedato dei progetti e degli edifici, anche attraverso la casistica dei restauri e riusi, tenta di individuare e monitorare questo patrimonio. Individuare significa anche capire le ragioni e i significati di queste architetture, sia della loro importanza intrinseca come architetture a cavallo tra la grande scala delle strutture in cemento armato e la scala minuta dell'oggetto di design, sia del ruolo che queste architetture giocano in rapporto col sito. Lo spaccato di questo studio fa emergere una tensione sperimentale avanzata e specialistica che si misura con forme aerodinamiche, strutture plastiche, materiali innovativi. Si tratta di oggetti che hanno costruito un paesaggio e che comunicano la cifra aziendale. Se il valore architettonico delle singole stazioni di servizio si misura con una grande quantità di materiali documentari (dalle riviste e dai repertori iconografici fino agli archivi d'azienda tra cui il prezioso Esso Nederland Historical Archive a Rotterdam, il BP Archive presso la Warwick University e YExxonMobile Historical Collection della Austin University of Texas) che servono da supporto imprescindibile per leggere criticamente le permanenze, quello paesaggistico va trattato sia come trasformazione del contesto in cui le stazioni si trovano oggi sia nelle prospettive dei nuovi progetti delle grandi infrastrutture. Fin dagli anni '50 paesaggisti come Rene Péchère e Pietro Porcinai hanno focalizzato l'attenzione sulle opportunità paesaggistiche del progetto delle autostrade, affinandone gli strumenti della percezione visiva e della qualità delle relazioni col contesto di attraversamento; mentre sul fronte architettonico le stazioni di servizio diventano oggetto di studi e progetti d'azienda che tendono sempre più a incrementare il semplice oggetto di pompaggio con più articolate offerte per il comfort del viaggiatore. In tale processo finisce tuttavia per prevalere il brand dell'azienda petrolifera e la sua riconoscibilità sulla qualità architettonica e sul livello d'integrazione coi caratteri del sito. Il fatto stesso che le stazioni di servizio abbiano fino a oggi contribuito a radicare nell'immaginario collettivo la percezione dei "non luoghi" mostra due aspetti tra loro interdipendenti, Da un lato l'incapacità della cultura contemporanea a comunicare la bellezza del nuovo e a trasferirla in azioni concrete di salvaguardia. Ciò soprattutto in Italia, a fronte di strategie di tutela e di recupero avanzate in paesi come l'America e il Nord Europa che hanno inserito nella lista del patrimonio da salvaguardare un significativo repertorio di stazioni di servizio. Dall'altro dimostra come si sia consolidata negli ultimi decenni l'egemonia della globalizzazione sul progetto contestuale e come sia accresciuta la distanza tra la qualità delle architetture che puntualizzano le infrastrutture e il paesaggio. Sono aspetti che riconducono a riflessioni sulla unitarietà del progetto a tutte le scale d'intervento, così come indirizza anche la Convenzione europea del paesaggio. Ed è la strada intrapresa da questo studio, così ricco d'intrecci con le avanguardie artistiche del secondo Novecento. Questo, più in generale, si rivela accumulatore significante delle modificazioni sociali, di cui la cultura del progetto, sia di conservazione che d'innovazione, non può non tenere conto.

La stazione di servizio, architettura della strada, agli inizi del Ventesimo secolo colonizza rapidamente i paesaggi di Europa e Americhe, sotto l'impulso della motorizzazione e dello sviluppo delle arterie stradali. In un territorio a parte prende corpo una cultura che, assunta a dignità di oggetto letterario e di materia iconografica, a buon diritto attraverserà le arti del Ventesimo Secolo. Nell'affermazione della "cultura della strada" la stazione di servizio è protagonista. In essa le immagini del progresso tecnico, della velocità, del viaggio e della notte, trovano forma e si modellano in un volume, nel disegno di un marchio, nelle linee di una pensilina aggettante o nelle rotondità curvilinee di una vetrata. Il vocabolario della stazione di servizio recupera tutto l'immaginario e le aspirazioni della strada contemporanea e futuribile, luogo di ristoro o semplice edificio di posta, luogo permanente di incontro e scambio sociale, struttura che si fa paesaggio, emblema dell'americana roadside architecture. Un lessico che nei primi decenni del Novecento sta per inventarsi lungo le arterie stradali e al contempo stenta a trovare una sua identità, indirizzandosi così verso la sperimentazione, necessaria "pour élaborer un type formalisé dans ses règles, ses traits et ses modes de composition". Ma nel corso del tempo questo linguaggio cambia ripetutamente forma ed espressione; la stazione di servizio è spesso "riabilitata", sotto le logiche del mercato e del consumo di massa, quale oggetto senza dignità architettonica ma al più semplice brand nelle conquiste territoriali delle compagnie petrolifere internazionali. Ne deriva un'architettura precaria che rende difficile tracciare un quaisiasi percorso storiografico, come già è emerso nel tentativo fatto da Arnaud Sompairac nel volume Station Service edito dal Centre Pompidou di Parigi. Provare a leggere l'evoluzione di questo edifìcio, classificarlo secondo tipologie precise per poterne garantire la conservazione, appare quasi impossìbile proprio per la rapidità con cui sembra essere scomparso a partire dal secondo dopo guerra. Del resto non è di poco conto nemmeno la confusione che regna attorno alla definizione di questo oggetto, un oggetto insolito che cerca i suoi padri spirituali negli architetti, anonimi per la maggior parte, nei designer, negli ingegneri come negli affichistes. Nemmeno i numeri aiutano nella comprensione di un'opera il più delle volte senza firma e disprezzata dallo snobisme di certi architetti. Nel periodo compreso tra il 1920 e il 1970 i distributori di carburante infatti si sono moltiplicati in maniera esponenziale, evolvendosi quando in esemplari bizzarri e difficilmente classificabili, quando in forme più naturali di diretta derivazione dalle precedenti. E comunque, in entrambi i casi, si assiste al fiorire nel corso del Ventesimo secolo di una moltitudine di edifici realizzati senza punti di riferimento o tradizioni progettuali. Un'esplosione di valori formali che elude "au premier abord toute tentative de classification, chronologique ou géographique". Un'architettura che pone al suo ideatore la questione della percezione in movimento, della fruizione in grande velocità, costringendolo a stravolge l'ordine di grandezza di un edifico che non sarà più lo sguardo del flâneur nel lento vagabondare a dover leggere, ma lo sfrecciante automobilista su strada. Un aspetto questo della percezione già scandagliato nella lettura fatta da Robert Venturi con Denise Scott Brown e Steven Izenour in Lerning from Las Vegas nel 1972. E in questo "necessario stravolgimento percettivo" si fa determinante la funzione della luce come quella del colore, come intuiscono immediatamente le principali compagnie petrolifere che ne fanno la colonna portante di una politica di vorace conquista territoriale. Così il colore dell'azienda, l'ideazione di un logo e la scelta di uno slogan, contribuiscono alla costruzione di un'immagine unitaria, nell'ottica di una corporate identity che si completerà nel tempo anche attraverso la definizione di una precisa veste architettonica. E per quanto sia indubbia la presenza e l'influenza di correnti precise nella definizione di questa identità, non sembra possibile stabilire con esattezza una tipologia stilistica per le stazioni di servizio: "la période est trop courte, le terrain trop neuf, et l'inventivité des concepteurs, stimulée par la concurrence et l'absence de tradition débordante". La difficoltà di decodificare il linguaggio dei distributori di benzina è così quella di affrontare un tema in cui l'architettura si fa tutt'uno con il paesaggio che la circonda, facendosi essa stessa paesaggio, ma al tempo stesso divenendo oggetto di design e luogo eletto di sperimentazione grafico-pubblicitaria. Non meno complesso, per poter indicare alcune linee per la salvaguardia di un patrimonio in continua trasformazione, è comprendere i rapporti che l'edificio intrattiene con il suo habitat, la strada, quando questi stessi rapporti possono essere in diversa misura determinati non solo dai luoghi, ma da norme amministrative, strategie d'impresa come dalla volontà dei concessionari.

L'oggetto stazione di servizio sembra infatti inventarsi attraverso tante storie parallele, che si svolgono in Europa e Oltreoceano, coinvolgendo i protagonisti più disparati e dando luogo agli esiti più disparati. L'ingegnere lo elegge a luogo di sperimentazione per il cemento armato, mentre l'architetto, quando non il grafico o il pubblicitario, lo modella secondo un'estetica che inneggia all'aerodinamismo, dopo che questa stessa estetica ha conquistato, insieme agli oggetti del quotidiano, la stazione di servizio. Così si compone una collezione e prende vita un patrimonio dì stations d'architecture, veri luoghi formali in cui si legge un'estetica che si affranca progressivamente dalle influenze di un milieu culturale, politico e tecnico, per obbedire finalmente alle leggi della sua evoluzione, E questa collezione, per quanto incompleta, riflette nel suo stesso disordine la complessità di una realtà che mette accanto architettura vernacolare e architettura accademica, ornamento e funzione, folgorazioni futuriste e contestualismi. L'intento è quello di restituire dignità a un insieme di oggetti architettonici - la cui "richesse comme l'hétérogénéité font l'intéret patrimonial" -, comprendere il meccanismo di questo insieme e sottolineare il valore culturale di un patrimonio da tutelare e valorizzare.

Del resto l'eccesso di indifferenza di cui ha sofferto la stazione di servizio ha giustificato per lungo tempo l'assenza quasi totale di letteratura sull'argomento, fatta eccezione per la scuola americana prolifica di testi specifici sul tema della roadside architecture. Mentre la difficoltà di indagare il tema riflette anche la scarsezza di risorse archivistiche, e non meno l'atteggiamento delle società petrolifere stesse che, salvo rare eccezioni, non consente l'accesso ai propri fondi e laddove questi siano resi consumabili risultano troppo spesso depauperati per una mancata politica di conservazione. Le fonti più preziose perla storia di questi oggetti alla fine sembrano essere i materiali messi insieme da tenaci e lungimiranti collezionisti privati, i mai sufficientemente scandagliati archivi di architettura e le numerose riviste dello stesso settore, oltre alle pubblicazioni di ramo - come la settantenaria «Staffetta petrolifera» o l'americana «National Petroleum News» -, non meno di quelle interne alle compagnie - come nel panorama italiano il «Catto selvatico» targato Agip o la «Esso Rivista». La composizione e l'organizzazione di questo materiale eterogeneo vuoi essere il punto di partenza per un percorso di conoscenza e salvaguardia del patrimonio dell'architettura della strada. Un patrimonio vasto e diffuso che lo scenario attuale, in continua evoluzione, rischia di perdere definitivamente.

Relatori: Emanuele Romeo, Orio De Paoli
Tipo di pubblicazione: A stampa
Soggetti: R Restauro > RA Restauro Artchitettonico
R Restauro > RD Tecniche del restauro
ST Storia > STH Periodo contemporaneo (dal 1945)
Corso di laurea: Corso di laurea specialistica in Architettura (Restauro E Valorizzazione)
Classe di laurea: NON SPECIFICATO
Aziende collaboratrici: NON SPECIFICATO
URI: http://webthesis.biblio.polito.it/id/eprint/2267
Capitoli:

1. Premessa

2. Le stazioni di servizio nel paesaggio delle arti

- Letteratura e arti figurative

- Dal cinema alla videoart

3. Infrastrutture e stazioni di servizio negli anni tra le due guerre - gli esordi

- Il panorama italiano

- Le rete delle infrastrutture

- Il paesaggio della strada

- Le microarchitetture per la mobilità

- Dalla cracker box alla tba station

- Mito del progresso e modernità

4. Competitivita e standardizzazione nella seconda metà del novecento

- Dal singolo manufatto al sistema

- Branding e standardizzazione

5. Nuovi funzioni e complessità: da stazione di servizio a comfort per la mobilità

- Gli strumenti del progetto: norme e manuali

- Il comfort per la mobilità: motel e autogrill

6. Il panorama internazionale della tutela

- Lo stato dell'arte: l'esempio stati uniti

- La tutela in canada: la stazione di m.v.der rohe a montreal

- La tutela in europa: olanda, germania e francia

7. Le stazioni di servizio in italia: abbandoni, distruzioni, riusi. lo stato della tutela

- L'esempio italiano

- Gli strumenti per il monitoraggio e la tutela

8. La stazione agip a viareggio: strategie di riuso per la conservazione

- L'area di intervento

- Il progetto di restauro

9. Bibliografia

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