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Patrimonio industriale e gestione delle risorse energetiche

Gabriele Murgia

Patrimonio industriale e gestione delle risorse energetiche.

Rel. Enrico Fabrizio. Politecnico di Torino, Corso di laurea magistrale in Architettura Per Il Progetto Sostenibile, 2017

Abstract:

INTRODUZIONE

risorsa

ri-sòr-sa/

sostantivo femminile Mezzo o capacità disponibile, consistente in una riserva materiale o spirituale, o in un'attitudine a reagire adeguatamente alle difficoltà: r. economiche; non gli rimane più alcuna r.; r. intellettuali; le r. dell'ingegno; è un uomo pieno di risorse.

Da sempre la crescita e lo sviluppo di una comunità sono determinati dalla quantità e dalla qualità delle risorse che ha a disposizione nell'ambiente che abita. Quando l'uomo ha iniziato ad essere stanziale le prime comunità venivano stabilite vicino a corsi d'acqua o comunque capaci di fornire sostentamento e stabilità.

Il lento processo di antropizzazione del pianeta andò di pari passo con la capacità dell'uomo di avere un sostanziale impatto sul territorio. Si trovano esempi notevoli dagli interventi per deviare i corsi d'acqua ai maestosi progetti delle monarchie assolute che coinvolgevano aree territoriali consistenti, ma è soprattutto dal XIX secolo che il fenomeno arriva a nuovi livelli.

L'avvento dell'industria portò a necessità energetiche completamente nuove, e le novelle società industriali vedevano le risorse a disposizione solo in un'ottica di sfruttamento. La disponibilità dei combustibili non era un argomento sottovalutato, ma era analizzato solo dal punto di vista delle possibili ricadute sulla produzione, una eventuale esauribilità delle risorse era secondaria rispetto agli agi che lo sfruttamento di queste portava alla collettività. Sul concetto di limite alle risorse naturali la discussione era infatti attiva sin dagli inizi dell'età industriale, quando gli economisti dell'epoca si interrogavano sull'esaurimento di queste risorse a causa dell'uso indiscriminato dell'uomo.

Queste tesi non riuscirono a prendere piede di fronte al reale miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Il gigantesco impatto sull'economia delle industrie, che rendevano comuni beni che una volta erano di lusso, l'utilizzo di fertilizzanti chimici, che fornirono ai lavoratori agricoli una forte libertà sui limiti stagionali e su eventuali disgrazie naturali.

Tutte le trasformazioni ambientali insomma, anche quelle distruttive (inquinamento idrico e atmosferico), erano percepite come positive in questo nuovo contesto in cui l'uomo si elevava dalle costrizioni che storicamente lo legavano ai cicli naturali, in quello che può essere considerato un ribaltamento del rapporto uomo-natura in termini di dipendenza, la conservazione naturale era relegata ad un certo romanticismo ambientale più che ad una vera cura dell'ecosistema.

Sul piano economico e sociale le conseguenze di un presunto rafforzamento dei poteri dell'uomo sull'ambiente produssero già nel XVIII profondi mutamenti. L'era industriale nata due secoli fa si caratterizzò per l'indiscriminato uso tendenziale delle risorse su scala planetaria. L'attuale crisi ambientale rappresenta, invece, una sorta di punto di non ritorno dell'età industriale per come la conosciamo.

Sia per ignoranza o noncuranza queste azioni nate dai cambiamenti del rapporto tra uomo e natura produssero effetti con significative ripercussioni nelle attuali condizioni dell'ecosistema planetario.

Lo sviluppo scientifico del Novecento portò a nuove frontiere nel campo delle macchine e della chimica. Se prima i sottoprodotti di un processo chimico restavano non nocivi, comparvero residui dannosi che venivano dispersi nei fiumi e nelle falde, la rilevante diminuzione delle foreste portò al declino di moltissime specie animali e all'estinzione di alcune altre, la combustione del carbone prima e del petrolio poi, a fini energetici, disperdeva in atmosfera elementi nocivi, sia per l'uomo che per l'ambiente in generale, tutti questi elementi nocivi risultano difficilissimi da smaltire naturalmente e crearono danni che furono praticamente ignorati fino alla seconda metà del secolo, quando gli effetti a lungo termine iniziarono ad essere evidenti e, viste le probabili ricadute sulla produttività che l'assenza di fonti energetiche porterebbe, ad essere considerate soluzioni alternative.

Nell'opinione pubblica generale, mancava un visione generale dell'impatto umano nelle interazioni con la natura. La modernità portò a coltivazioni e allevamenti più efficienti distaccando la società dai cicli naturali e si diffuse l'idea che la tecnologia potesse risolvere ogni problema umano, al contrario della natura, senza nessun preavviso una siccità o un rigido inverno potevano rovinare mesi di lavoro, la scienza aveva reso queste eventualità molto più gestibili. Se un tempo la natura e la cura dei terreni erano l'interesse principale alla sopravvivenza, ora era l'industria e portare il benessere, e la natura era passata in secondo piano.

Si credeva che gli effetti negativi dovuti allo sfruttamento del territorio potessero essere risolti con soluzioni tecnologiche senza la necessità di modificare i modelli di sfruttamento ambientale.

Un altro notevole conseguenza dello sviluppo industriale fu la crescita incontrollata delle città e, di conseguenza, il peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie dell'ambiente urbano.

In Inghilterra, paese particolarmente investito da questo fenomeno, visto l'alto numero di città nate e cresciute attorno ad impianti industriali e minerari, molti autori e intellettuali incorporarono queste situazioni nei loro scritti e studi.

Nuovi quartieri sorsero disordinatamente nelle vicinanze di fabbriche e ferrovie, punti di favore per la vicinanza coi posti di lavoro, ma disturbati da rumori, fumi di scarico e dal traffico veicolare che si andava a sommare a quello residenziale.

I ritmi di vita delle persone iniziarono a coincidere in funzione del lavoro e della produzione. Dall'educazione alla pensione, la vita era istituzionalmente strutturata a favore di una maggior produttività possibile.

Per tutto l'Ottocento si vide una crescita dei centri urbani a sfavore della campagna, altro segno dell'allontanamento dell'uomo dai cicli naturali che per secoli avevano regolato i tempi e i ritmi quotidiani, sostituiti ora dalle sirene della fabbrica. Il rapporto città-industria crebbe in simbiosi, i problemi dell'una aumentavano i problemi dell'altra e così via ma, come già detto, i benefici economici si contrapponevano spesso e volentieri alle esigenze di razionalizzazione e tutela della collettività.

Questa crescita smisurata della società industriale e delle sue contraddizioni sfociò agli inizi del XX secolo con due guerre mondiali e una crisi economica che per poco non annichilirono l'umanità. La scissione dell'atomo e le sue conseguenze misero in una nuova prospettiva le capacità dell'uomo di utilizzare le risorse naturali senza pensare alle ripercussioni, un fiume inquinato era poca cosa rispetto alle potenzialità distruttive nel lungo termine della bomba atomica.

La fine della seconda guerra portò una nuova ondata di rinascita e crescita sociale ed economica, c'era tanto da ricostruire e la ritrovata pace offriva nuove opportunità da cogliere.

Se la crescita urbana degli anni 60 in Italia, che si manifestò nella crescita compatta delle periferie, si può attribuire alle dinamiche demografiche del secondo dopoguerra, il più recente trend di città diffusa si può ricondurre ad una forma di speculazione edilizia che, basandosi sulla città giardino di ottocentesca memoria, punta ad offrire un miglioramento della qualità della vita e del benessere economico. La città come malattia insomma, e la campagna come soluzione/cura per il benessere personale, un concetto nato quando i maggiori centri urbani del tempo erano stati trasformati in luoghi malsani e maleodoranti dalle attività industriali. Questo allontanarsi dal problema ne produce però altri (maggiori distanze da percorrere per raggiungere i luoghi di lavoro e studio, consumo di suolo altrimenti destinato all'agricoltura ecc.) senza risolvere i primi, anzi, incrementandoli.

È una catena di eventi, un circolo vizioso che ebbe inizio quando le domande che ci facciamo ora sulle tematiche ambientali ancora non esistevano. L'espansione del dopoguerra per accomodare gli immigrati che lasciavano i campi per l'industria ha portato alla creazione di quartieri grandi come piccole città, grazie alla speculazione. Queste aree dormitorio, accessorie alla città, file di palazzi costruiti con scarsa attenzione al risultato finale e con nessuna pianificazione urbana reale, senza farsi domande su come avrebbero influenzato il futuro della città, non sono mai diventate veri quartieri se non sulla carta, non esiste un'identità o un'affezione alla zona di chi ci abita e di chi ci è nato, anche negli anni successivi, il crimine ha vita facile perché non ci sono piazze, i negozi sono pochi e le persone non stanno in giro, manca l'elemento comunitario.

Quando queste famiglie si trovavano in una situazione economica più favorevole si spostavano, lasciando questi quartieri ai nuovi poveri, immigrati provenienti da ogni parte del mondo che si trovano ad abitare in posti degradati da anni di incuria, impossibilitati ad integrarsi in quanto ben lontani dalla vita cittadina del centro. Moderni ghetti nei quali intervenire è più difficile che mai.

Ci sono strumenti validi e progetti integrativi, soprattutto quelli di progettazione partecipata, che possono portare a risultati soddisfacenti nel breve e lungo periodo, ma la maggior parte degli interventi pianificati dall'alto ha principalmente lo scopo di riqualificare esteticamente queste aree perché siano appetibili economicamente. I meno abbienti che abitano quelle aree sono spinti via e le poche e piccole comunità formatesi con difficoltà si sgretolano sotto il peso del capitalismo.

Le famiglie che si traferiscono in campagna, invece, contribuiscono alla crescita dello sprawl urbano, la città diffusa che mischia il confine tra area urbana e rurale finché risulta difficile definire dei limiti.

La città resta comunque un luogo a cui è impensabile rinunciare. Aumentano i consumi di carburante per recarsi ai luoghi di lavoro, studio e intrattenimento e, conseguentemente, aumentano le quantità di gas di scarico dovute ai mezzi, una delle principali fonti di gas effetto serra. Il suolo, un tempo destinato all'agricoltura, si frammenta e degrada: aumenta l'impermeabilizzazione e le falde sotterranee si riempiono sempre più lentamente.

Ma il suolo non è una risorsa rinnovabile. Il suolo produce cibo, contribuisce a regolare le emissioni e gli assorbimenti di gas serra, trattiene le acque piovane, filtrandole e fornendo acqua potabile per la città e le campagne, senza contare che è una gigantesca fonte di biodiversità per flora e fauna.

Insomma il discorso ambientale, quello energetico, sociale ed economico sono concatenati e non si può parlare di uno di questi argomenti senza toccare gli altri.

I discorsi attuali su sostenibilità della città e dell'ambiente tendono a concentrarsi sull'evoluzione in campo di energie rinnovabili, di materiali per l'isolamento termico, impianti tecnologici sempre più efficienti e sofisticati. Questi discorsi però, per quanto incontestabilmente importanti, possono distogliere l'attenzione dal discorso sulla questione urbana. Le analisi sulla città individuano percorsi, quartieri, stratificazioni storiche, spazi pubblici e privati, si parla di limiti e confini, si dividono pieni e vuoti.

Gli interventi di riqualificazione in ambito urbano puntano a creare parchi, allargare le strade, più spazio naturale per ingrandire il polmone verde delle città, la cura dei vuoti è facile, le amministrazioni possono facilmente agire sugli spazi pubblici. Quello che le analisi morfologiche lasciano fuori però sono i singoli edifici, eccetto casi particolari quali monumenti o manufatti di pregio, viene trascurato il ruolo di questi nella definizione degli spazi urbani e la loro influenza sulla salute della città.

Quando invece si prova a fare progetti di riqualificazione urbana si prendo grosse aree, quei quartieri problematici vengono smembrati e crescono nuovi quartieri, più belli ma non meno problematici. Si punta a creare ampi spazi verdi e strade per lo scorrimento veloce delle auto, senza troppo impegno nel pensare il costruito. È anche vero che risolvere i problemi energetici di un edificio, o di una serie di edifici, non risolve il problema urbano. La risposta però non può essere lasciare la città così com'è, e di conseguenza i suoi edifici, e proseguire per questa strada ormai palesemente fallimentare.

È, ora più che mai, necessario un cambio di mentalità. Le novità senza necessità, tradizioni mascherate senza particolare sguardo al futuro, sono una strada che né le amministrazioni né i progettisti posso più permettersi di fare. Se nel dopoguerra on si aveva coscienza delle conseguenze della speculazione edilizia sull'ambiente, ora c'è molta più consapevolezza negli interventi architettonici e urbanistici, molto più peso in ogni azione e molte più domande a cui dare risposta. Occorre sfruttare l'opportunità dell'efficienza energetica per cambiare l'immagine della città, renderla un'entità viva, in co-dipendenza con chi la abita.

Il termine retrofit si può approssimativamente tradurre con riqualificazione. Si tratta di una pratica applicabile in svariati ambiti e livelli di intervento, con lo scopo di migliorare determinati aspetti di un manufatto architettonico e con un occhio di riguardo verso i comparti impiantistici, strutturali ed energetici.

Si può perciò parlare di retrofit quando si fa un adeguamento sismico ad un edificio precedentemente non sicuro, quando si studia come ottimizzare un impianto energetico per migliorare l'efficienza e aumentare l'output riducendo le emissioni e quando si avvia un processo di riqualificazione di un'abitazione o di un fabbricato industriale per sfruttare al meglio l'energia a disposizione, minimizzare gli sprechi e favorire il comfort abitativo/lavorativo. Considerare il retrofit come uno strumento da utilizzare a scala urbana porta a guardare i grossi progetti di riqualificazione da diversi punti di vista. Un approccio analitico al progetto può portare all'individuazione di interventi puntuali che aumentino l'efficienza dell'intervento, a livello economico, ambientale e sociale, affinché i benefici dei quartieri, rioni, isolati, edifici appartengano anche alla città.

In questo contesto è utile dare uno sguardo all'eredità industriale che abbiamo a disposizione. Solo a Torino ci sono centinaia di fabbricati che un tempo erano il cuore dell'economia e della società cittadina. La crisi industriale degli anni '70 e '80 ha lasciato carcasse industriali ovunque in città, ma quasi subito, col piano Gregotti Cagnardi, si è deciso di intervenire per restituire a Torino un ruolo si confacesse alla vecchia capitale del regno. Si puntò sulla cultura e sullo sfruttamento oculato delle risorse che la città stessa offriva, incentivando il riutilizzo rispetto all'espansione.

Il riutilizzo e la riqualificazione dei manufatti industriali è un argomento cardine nel discorso della sostenibilità energetica. Si tratta di edifici di grandi volumetrie con necessità energetiche importanti, sia per riscaldamento/raffrescamento e acqua calda, sia per le esigenze di produzione.

Lo studio qui presentato si occupa di analizzare come i manufatti industriali possano giocare un ruolo da protagonista nel discorso energetico internazionale, e come invece possano influenzare le politiche di riqualificazione cittadina, soprattutto in quei casi dove le industrie sono state vettore principale della crescita e dell'evoluzione di una città, condizionandone l'identità al punto che l'abbandono di questi impianti crea vuoti significativi che sarebbe opportuni considerare come risorse da sfruttare, opportunità per manifestare la modernità attraverso la storia.

Relatori: Enrico Fabrizio
Tipo di pubblicazione: A stampa
Soggetti: A Architettura > AK Edifici e attrezzature per l'industria
S Scienze e Scienze Applicate > SG Fisica
S Scienze e Scienze Applicate > SH Fisica tecnica
U Urbanistica > UG Pianificazione del paesaggio
Corso di laurea: Corso di laurea magistrale in Architettura Per Il Progetto Sostenibile
Classe di laurea: NON SPECIFICATO
Aziende collaboratrici: NON SPECIFICATO
URI: http://webthesis.biblio.polito.it/id/eprint/6257
Capitoli:

INDICE

1 INTRODUZIONE

2 IMPIANTO NORMATIVO

3 CERTIFICAZIONI ENERGETICHE

4 RISORSE ENERGETICHE

5 RISORSE TERRITORIALI

7 GALLETTIFICIO

Bibliografia:

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

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