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I gasometri in zona Vanchiglia : progetto di valorizzazione e riuso di un simbolo dell'archeologia industriale di Torino

Osvaldo Antonio Sferra

I gasometri in zona Vanchiglia : progetto di valorizzazione e riuso di un simbolo dell'archeologia industriale di Torino.

Rel. Andrea Bocco. Politecnico di Torino, Corso di laurea magistrale in Architettura Costruzione Città, 2015

Abstract:

Introduzione

Oggi è facile girare la manopola del gas, accendere il fornello per cucinare per poi richiuderlo, ma ogni tanto sarebbe interessante soffermarsi per capire cosa c’è dietro ad un semplice gesto e come si è arrivati ad esso.

Anche la luce elettrica è oggi un bene comune, ma un tempo si utilizzavano solo lampade a combustione che non illuminavano molto e che obbligavano a vivere in stretta relazione con la luce solare, condizionando le ore usufruibili nella giornata.

La luce artificiale è diventata per noi una certezza, che ci accompagna fin da bambini. Non potremmo immaginare i centri urbani bui durante la notte e raramente pensiamo alle migliaia di anni occorsi per sviluppare le tecniche che hanno “spento” il buio.

“Per secoli e secoli, Torino, al calar del sole, restò sommersa nelle tenebre. Tenebre paurose, da incubo... Ogni scricchiolio preannunziava un pericolo. Vero o immaginario. Di luce, di calore non era il caso di parlarne e bastava un nulla per ridurre tutto in cenere...”

“In un 'epoca relativamente recente la luce artificiale ha alterato quei ritmi della vita sociale ed economica che da secoli governavano le città. L ’oscurità della strada era condizione ideale per i malaffari, le violenze e i reati che i cittadini subivano al tramontare del sole, tant’è che le porte delle città erano serrate a chiunque dopo il rientro da una giornata di faticoso lavoro. Sino al XVII secolo la pavimentazione e l’illuminazione delle strade furono considerate alla stregua di incombenze private e pertanto delegate ai cittadini: in alcune capitali europee, in caso di disordini, ai cittadini fu imposto di posizionare un lume alla porta della propria abitazione per generare un ’illuminazione pubblica di sicurezza. La disomogeneità dell’illuminazione dipendeva soprattutto dai combustibili e dal metodo di illuminazione utilizzato: la cera, i grassi animali e vegetali, gli oli più o meno raffinati erano i combustibili privilegiati nelle città italiane, seppur con notevoli variazioni. Il ruolo elitario dell’illuminazione artificiale derivava dal costo della materia prima, tanto che solo i riti liturgici e i lampadari dell’élite aristocratica erano dotati della pregiata cera: la luce artificiale, per l’intensità luminosa che la caratterizzava, si adattava a rischiarare prevalentemente ambienti interni. E quindi una conseguenza logica che la luce artificiale rappresenti, simbolicamente e materialmente, il potere sociale di colui che la governa e l’utilizza; tale connotazione è ben evidenziata dalle cronache settecentesche delle pompose feste aristocratiche. Tale ruolo era assecondato anche dalla fattura dei corpi luminosi, ovvero i candelieri, le lanterne, le applique e i lampadari che talvolta ancora oggi adornano gli appartamenti di rappresentanza dei palazzi nobili italiani: la luce “a profusione” era riservata ai soli appartamenti nobili nei palazzi di città, mentre una fievole luce illuminava le contrade della città, senza distinzione d’importanza. ”

Nel XV sec. accresceva nelle città la necessità di risolvere questi problemi di sicurezza, e il primo passo per sgominare le tenebre furono le lanterne obbligatorie, all’inizio portatili, con poca luce e molti disagi, successivamente fisse su ogni casa che affacciasse su strada pubblica.

Sorse una nuova industria e artigiani che si specializzarono nel costruire, riparare, migliorare le prime lanterne.

La storia delle lanterne era complessa, poiché nelle città nasceva il problema della sicurezza e del decoro, ma le tecniche conosciute erano ancora primordiali. Le lampade a combustione non riuscivano ad illuminare in maniera efficiente producendo un fumo nauseabondo per via del grasso bruciato. Subirono alcune significanti modifiche quando fu inventato il “riverbero”, un disco di metallo che rifletteva la luce aumentandone l’intensità, e quando l’olio sostituì il maleodorante sego intriso di grasso.

Ci vollero secoli di sperimentazione, anche con incidenti piuttosto gravi, per arrivare a migliorare le prestazioni e la sicurezza delle lanterne. Un altro problema era la gestione, l’organizzazione e le spese per un’illuminazione pubblica sicura ed efficiente.

Le lanterne erano sempre le stesse ma migliorate nel tempo. Nel 1720 comparvero i vetri a dare una maggiore protezione e praticità, ma contemporaneamente si manifestarono i primi episodi di vandalismo, tanto che nel 1722, nel Regno Sabaudo, venne emanato un severissimo editto comportante una pena di 200 scudi e due anni di galera ai recidivi colti a distruggere le lanterne.

Nel 1780 Torino contava 32 strade che si incrociavano ad angoli retti dividendo la città in 139 isolati, che erano illuminati da 630 fanali. In pochi anni si era compiuto un gigantesco progresso. Nel 1782 Vittorio Amedeo III pensò di migliorare ancora l’illuminazione della città montando 610 grandi lanterne a quattro fiamme, 198 a tre fiamme e 85 a due fiamme. L’architetto Francesco Valeriano Dellala fu incaricato di progettare un nuovo tipo di fanali a vetro, dopo un attento studio dei sistemi d’illuminazione presenti in Londra, Parigi, Madrid, Vienna. Vittorio Amedeo III finanziò parte della spesa per l'illuminazione pubblica, procurandosi la restante parte con un aumento delle imposte sul fieno. Una delle spese maggiori era costituita dalla manutenzione, che doveva essere costante e tempestiva. Come misura economica, nelle notti di luna piena non si accendevano le lanterne.

Le innovazioni tecnologiche, frutto del progresso dell’industria e delle scienze, diedero il loro forte contributo allo sviluppo dei sistemi d’illuminazione. L’illuminazione pubblica delle città fu implementata per tutto il XVIII sec., grazie agli studi sulla combustione condotti da Antoine Lavoisier, ripresi poi nel 1786 da Ami Argand che perfezionò la lampada a olio aumentandone l’intensità luminosa. L’illuminazione ad olio con fanali Argand continuò ad essere impiegata per buona parte del XIX sec.. L’illuminazione a gas di città si affermò lentamente a causa delle problematiche dovute al trasporto delle materie prime, alla costruzione delle centrali, alla mancanza di sicurezza da parte dei cittadini, ai cospicui investimenti per la complessità tecnica di lavorazione e per la creazione della rete di distribuzione. Proprio per queste ragioni, l’avvento del gas illuminante a Torino fu possibile solo grazie agli investimenti Francesi, accompagnati da cordate di nobili aristocratici e ricchi mercanti interessati a nuove forme d’investimento che costruirono i primi stabilimenti.

Elemento essenziale di ogni stabilimento produttivo del gas di città era il gasometro, un contenitore cilindrico utilizzato per lo stoccaggio e per garantire una fornitura costante e sicura del gas prodotto.

Relatori: Andrea Bocco
Tipo di pubblicazione: A stampa
Soggetti: A Architettura > AK Edifici e attrezzature per l'industria
A Architettura > AO Progettazione
A Architettura > AS Storia dell'Architettura
Corso di laurea: Corso di laurea magistrale in Architettura Costruzione Città
Classe di laurea: NON SPECIFICATO
Aziende collaboratrici: NON SPECIFICATO
URI: http://webthesis.biblio.polito.it/id/eprint/4467
Capitoli:

INDICE

Presentazione del candidato

Introduzione

1. Un breve excursus storico

2. Il gas infiammabile: genesi e sviluppi

2.1. L’avvento del gas illuminante a Torino

2.1.1. La produzione del gas

2.1.2. Depurazione

2.1.3. Distribuzione

2.1.4. Gasometri

3. Storia degli stabilimenti

3.1. Compagnia di Illuminazione a Gas per la città di Torino (officina di Porta Nuova)

3.2. Società anonima Piemontese per l’illuminazione a gas Torino (officina di Borgo Dora)

3.3. Società italiana Gas Luce (Italgas)

4. Società anonima consumatori Gas Luce di Torino, 1862

5. Lo stabilimento in Vanchiglia

5.1. Fasi costruttive

5.2. Trasformazioni e cambiamenti

6. Campus Luigi Einaudi e Residenza Universitaria Olimpia

7. II quartiere Vanchiglia e Vanchiglietta

7.1. Storia

7.2. Indagine sul territorio

7.3. Questionario ed elaborazione dati

8. Interventi di recupero realizzati in Europa

8.1. Esempi in Germania, Svizzera e Austria

8.2. Esempi in Italia

9. Proposta progettuale di rifunzionalizzazione

Conclusioni

Ringraziamenti

Bibliografia

Sitografìa

Appendici con elaborati grafici

Bibliografia:

Bibliografia

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