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Immagini dal territorio : l’immaginario come forma di strutturazione del territorio nelle Valli di Lanzo e nel Canavese

Mara Macario Ban

Immagini dal territorio : l’immaginario come forma di strutturazione del territorio nelle Valli di Lanzo e nel Canavese.

Rel. Alberto Borghini, Francesca De Carlo . Politecnico di Torino, Corso di laurea in Architettura, 2012

Abstract:

La domanda che più mi è stata posta rispetto ad altre durante le mie interviste è stata: <Ma questa ricerca cosa c'entra con Architettura>. Una domanda più che lecita quando ci si aspetta da un Architetto capacità unicamente tecniche.

Ammetto di aver avviato le ricerche non sapendo da che parte cominciare, completamente all'oscuro di cosa avrei scoperto, ma già a metà dell'opera ho capito dalle "non risposte" ai miei perché che un Architetto privo di conoscenza antropologica non si potrà mai definire completo, dal momento che non tutto può essere studiato sui libri. Il percorso accademico impartisce lo stampo tecnico all'allievo e l'Antropologia, con la sua apparente finalità di analisi della storia di una comunità, in realtà apre un mondo sul perché si è cambiato modo di vivere la casa ed il territorio.

Grazie a persone amiche che mi hanno presentato alla gente, mi sono state aperte le porte di vecchie case in pietra, vecchie stalle divenute oggi dei soggiorni, case secolari che appartengono alla famiglia da prima della guerra, case che solo loro mi hanno detto di più dell'intervistato stesso.

Dalle interviste sono emersi quei valori che purtroppo, o per fortuna, sfociano nel sociologico e che pertanto non ho potuto fermare all'interno della presente tesi: valori sociologici legati a credenze puramente antropologiche che hanno condizionato l'uomo durante l'arco della propria vita, portandolo magari a vivere in altri paesi per motivi di sopravvivenza, ma con le abitudini tramandate dai nonni.

E da quei pochi autoctoni che non sono mai andati via dalla propria vecchia casa, ci si accorge che la loro realtà è all'interno di quella casa, ma più ancora all'interno del valore che quella casa rappresenta. E poco importa se le finestre non rispettano i parametri di aeroilluminazione, se le stanze siano piccole e umide o se non ci sia l'antibagno: in borgata sono le abitudini tramandate dai nonni che plasmano la casa ed il vivere.

Il sole, il vento, la luna, la grandine, la lana, le rocce, la campana, ma poi ancora la veglia dei morti, la benedizione di un bambino, apparecchiare la tavola per accogliere il ritorno dei propri morti, il saluto di un defunto: tutto questo e molto di più appartiene al bagaglio culturale di una collettività che ho avuto il piacere di conoscere.

Ho analizzato la mia terra, ho intervistato gli anziani del mio paese, e mai come ora mi sono sentita tanto ignorante nei riguardi della mia cultura. E così, per il detto "Chi non ha testa metta gambe", le gambe ce le ho messe eccome ed ho percorso quelle vie, ho raggiunto quei pianori, ho cercato quella "Tana" di cui mi hanno parlato gli anziani, e tutto ciò che ho trovato merita davvero di essere rivalutato e promosso mediante attività di approfondimento culturale.

Una prima escursione che mi ha proiettato all'interno dell'atmosfera che si poteva vivere una volta quando le luci erano poche, se non quasi del tutto assenti, è stata l'escursione in notturna al Pian del Roc, ossia il Pian delle Masche collocato nei pressi del Colle del Bandito (rif. pagg. 263, 287). La mia guida ed io abbiamo atteso una notte di luna piena: lo spettacolo è stato magnifico. Reflex digitale, cavalletto e ciaspole perché lassù c'era ancora la neve. Torce spente perché gli occhi si erano abituati al buio. Il bosco di notte è tutt'altro che silenzioso, e a percorrerlo ci si accorge che è lo scenario perfetto per racconti d'altri tempi. Questo Pian delle Masche sovrasta nel buio il Comune di Forno, Levone, Rocca e Corio, e le luci in lontanza lo fanno apparire ancora più misterioso. Non so se mi aspettassi di incontrare qualche Masca, ma se le avessi incontrate non mi sarei stupita affatto.

La seconda escursione è stata sul Monte Uja di Corio (rif. pag. 12, 96, 177): l'ultima baita è collocata ai 2026 m s.l.m., ma noi eravamo in cerca della Tana di Palot e siamo andati fino in cresta arrampicandoci su una pietraia. Le nuvole arrancavano lentamente dalla pianura e noi siamo riusciti a salire in cima e scendere nell'altro versante con un'ottima visibilità. Mi era stato detto di portarmi i guanti robusti, ma non credevo di dover scendere in cordata un versante di montagna. Probabilmente siamo scesi troppo poco, e con la fitta vegetazione non siamo riusciti a trovare la Tana di Palot. Di questa Tana mi hanno raccontato che vi si sentiva cantare la gallina dai pulcini d'oro: che fosse realmente la gallina quella che sentivano cantare, o se piuttosto fosse stato un rifugio di Partigiani canterini, di sicuro quella Tana esiste perché c'è chi l'ha visitata e sostiene che sia una sorta di tunnel scavato nella roccia. Per quanto riguarda la propagazione del suono, non esistono ostacoli e con l'aria rarefatta ogni suono scende a valle intatto. Quello che più mi ha colpito è che per me è stata un'escursione decisamente impegnativa, mentre dai racconti della gente l'Uja sembra solo dietro l'angolo. È evidente come il territorio sia percepito in modo indiscutibilmente diverso dalla gente che lo abita, o che lo ha vissuto in tempi diversi dal mio.

Un'altra escursione è stata quella fatta alla Pera Scritta (rif. pag. 197, 368, 369) collocata nei pressi del Lago di Monastero. Questa escursione era da fare obbligatoriamente in occasione del Solstizio d'estate al fine di poter osservare il sole allinearsi in una forcella di roccia: il sole, in allineamento, colpisce puntualmente un enorme Menhir conficcato nel suolo, lasciando in ombra il versante della montagna.

Questa esperienza che mi ha portato ai 2158 m s.l.m. all'alba è diventata una vera e propria lezione di storia: la Pera Scritta, che sulle carte topografiche è il Colle di Perascritta, è la testimonianza reale del passaggio di viandanti. Su questo Colle c'è una roccia particolarmente friabile che è stata incisa nei secoli. È l'ennesima prova che il territorio era vissuto e riconosciuto in modo nettamente diverso rispetto a come lo potremmo vivere noi oggigiorno.

È in quota che ho scoperto l'Iperico (rif. pag. 197) ossia "l'erba delle streghe", oltre che il Roc die Masche (rif. pag. 72) a valle del sentiero per il Santuario della Madonna di Ciavanis collocato a 1827 m s.l.m.

Le immagini riportate all'interno del presente documento sono finalizzate a contestualizzare le narrazioni affinché la tesi non sembri unicamente una raccolta di parole, ma sembri quello che realmente è: la fotografia del sapore d'altri tempi.

Il materiale raccolto rientra in un progetto ampio di ricerca intitolato: "Immagini dal territorio. L'immaginario come forma di strutturazione del territorio" finalizzato alla salvaguardia del patrimonio culturale che vanta storie, leggende, tradizioni, superstizioni, fatti di medicina popolare tramandati oralmente e destinati ad essere dimenticati. La raccolta di queste testimonianze è avvenuta sul campo mediante l'uso di un registratore audio digitale e l'area interessata all'indagine abbraccia le Valli di Lanzo ed il Canavese, rimanendo maggiormente concentrata sul Comune di Corio, il mio paese.

Ogni attestazione orale riportata appartiene all'immaginario collettivo nei riguardi del territorio. L'analisi di aree limitrofe tra loro ha comportato la definizione di una sorta di carta geografica dell'immaginario che è andata oltre le distanze e le inflessioni dialettali, rilevando forti analogie tra un'area e l'altra.

Al centro delle credenze popolari c'è sempre il territorio che veste le parti di un palcoscenico all'interno del quale i fatti apparentemente inspiegabili dalla razionalità, o dalla medicina, sono obbligatoriamente dovuti a figure oscure, che si muovono nella cultura popolare infondendo paure e creando miti. E dove non c'è istruzione scolastica, c'è sapienza popolare che nell'analisi dei segni del tempo e degli eventi climatici vive attivamente il territorio plasmandosi di conseguenza.

Così, mentre a Corio si dice "Sa tröna in vai d'Lans pjte la zapa e va n'tl camp. Sa tröna da la Saltà pjte la zapa e va a cà", a Cafasse si dice "Se tröna da Varisela Via t’la pia n’tla gunela. Se tröna 'n val d'Lans pia la sioira e va n'tl camp", mentre a Monastero di Lanzo, invece, il detto popolare è "Se le nebbie a van a La Parela, pia la sesa e martela. Se le nebbie van vers Punt, piàla sesa e scunt".

Allo stesso modo, sulla base di storie narrate nei secoli, porzioni di territorio acquistano immutabilmente il nome di Piano delle Masche (Pian delle Spine a Forno, Pian del Dol e Pian del Re a Corio, Pian del Nero a Coassolo, Punta Mares ecc.) e gli animali da cortile acquistano un alone di mistero che contribuisce al sentimento di paura per l'inspiegato che coinvolge l'intera comunità, adulti e bambini: i gatti così come le pecore e le capre "potrebbero" essere le Masche camuffate al fine di avvicinarsi alle case e fare malefici o rapire i bambini in fasce.

Ed in una società dove il solo acculturato era il prete per il quale si provava timore più per quello che si diceva di lui che per quello che gli avevano visto fare.

< Quello che era Don allora a Corio, dicevano che faceva la Fisica. In Punta Corio... sai che a Corio ne raccontano! Che passava giù una capretta e sentivano il campanaccio della capretta, però dicevano che era il Pievano, il Don di allora, che faceva la Fisica.>

L'unica salvezza era la medaglia della Madonna

<La medaglia al collo ce l'avevano tutti. O puntati con la spilla da balia nella maglia ... o al collo o nella maglia. [...] Tanti avevano "l'abitin" ... io non so cosa voglia dire ... un pezzo di stoffa con una croce sopra ...lo chiamavamo "l'abitin". [...] Al posto della medaglia avevano quello lì. Lo chiamavamo "l'abitin". Cosa sia non lo so. Cosa vuoi dire in italiano, non lo so. Era un pezzettino di stoffa con la croce sopra. Col crocifisso sopra. Tanti portavano quello.>

Unitamente a rimedi decisamente poco razionali

<Per essere al sicuro dalle Masche, mio nonno mi ha detto che bisognava sempre andare in giro con due grani di sale ... perché il sale è benedetto ... e della lana perché è benedetta anche lei ... con della lana di pecora ...ci davano un fiocco di lana e allora tu (eri al sicuro). Poi dice che se avessi avuto paura ... che te ne andavi in giro con la pistola di notte ... quando tifassi trovato a sparare alle Masche dovevi mettere le mani in cfoce così9 con il revolver. Non serviva puntare la pistola solo così, ma con la croce così. Incrociare come a fare una croce ... ecco.>

Le Masche erano il soggetto principe delle paure della gente e di loro si diceva che erano donne dall'intelletto sopraffino11 capaci di qualsiasi maleficio, che si ritrovavano a ballare sui pianori di notte, concedendosi al diavolo per potenziare i loro poteri e portando a lui in dono una gallina nera. Le testimonianze raccolte parlano di donne, definite Masche, a Case Moia, Case Garigliet, a Rocca, sugli alpeggi del Monte Soglio, da Case Mecio a Case Macario.

In mezzo ai racconti degli anziani spuntano "La Capogn, la Masca di Case Macario: guai a farle un dispetto o negarle il cibo se era affamata perché l'avevano fatta arrabbiare terribilmente e scatenò la sua furia generando un alluvione che spazzò dal cortile tutte la galline di colui che l'aveva offesa. A Rocca, invece, c'era la signora Domenica che la chiamavano "La Busa": di lei si narra che lungo un sentiero incontrò un signore che si stava dirigendo al lavoro controvoglia. Si dice che la Masca gli avrebbe proposto di andare con lei a ballare al Pian delle Masche, bastava solo che lui mettesse il piede sopra il piede della donna.

Ogni racconto ha dei precisi riferimenti geografici e questa ricerca altro non è che una raccolta di elementi paesaggistici e sociali che producono narrazione e che, in un certo senso, si possono considerare prodotti a loro volta della narrazione stessa.

Le testimonianze sono state raccolte con "Metodica elementare", ovvero effettuando un'indagine sul campo ed il criterio di catalogazione è unicamente di carattere geografico: a partire da Corio, con le sue Frazioni e borgate, si scende verso valle, ritrovando spesso gli stessi simboli affrontati, però, in modo diverso secondo la peculiarità della localizzazione. La finalità perseguita è quella del recupero culturale e dell'auspicabile restauro culturale, nella convinzione che ripristinando il dialogo sulle credenze popolari si possa meglio delineare l'identità culturale del territorio e tramandarlo alle generazioni future.

Oltre a trattarsi di un bene storico-culturale in se, l'immaginario popolare offre in effetti un codice interpretativo che è in grado di leggere fatti di cultura materiale nonché artistica, architettonica ecc. Attraverso tale codice, inoltre, si delinea quella che è la modalità dall'interno delle collettività stesse, di pensare e di Vivere' il territorio.

Le attestazioni sono state trascritte dal dialetto all'italiano, fatta eccezione per alcuni vocaboli laddove la traduzione avrebbe sminuito il valore e lo stile popolare della narrazione: non vi è alcuna pretesa di correttezza dialettologica, dal momento che necessiterebbero studi specifici in materia.

L'estensione, seppur ridotta, dell'area analizzata ha determinato delle variabili non soltanto nel dialetto, ma anche nelle varianti narrative e, in taluni casi, persino una continuità narrativa. A Corio, per esempio, si racconta che l'Uomo Selvatico, altrimenti detto "Om Servaj", abitava nei pressi di Case Berter e che aveva smesso di insegnare alla gente la procedura di lavorazione del latte perché dei bambini gli avevano fatto un brutto dispetto, mentre a Monastero di Lanzo si racconta che "Lu Servaj" abitava nei pressi di Marsaglia, dove attualmente risulta seppellito, e che il dottore gli fece visita in punto di morte: in quell'occasione "Lu Servaj" disse al medico di appendere il mantello alla lama di sole che filtrava attraverso la fessura della porta, dal momento che non aveva nulla sul quale avrebbe potuto appoggiarlo.

In questa prima fase di raccolta delle attestazioni orali non possiamo che garantire almeno il mantenimento del valore della memoria, impiegando il CENTRO DI DOCUMENTAZIONE DELLA TRADIZIONE ORALE di Piazza al Serchio a Lucca come "serbatoio culturale" dal quale attingervi non soltanto per la rappresentazione culturale, ma anche per la progettazione territoriale dal momento che il territorio è in stretto rapporto con l'immaginario collettivo.

A tal proposito, sul sito http://www.centrotradizioneorale.net/ si possono trovare non soltanto i testi, ma anche le interviste in formato audio pubblicate all'interno della presente tesi.

In ultimo, mi permetto di aggiungere che le attestazioni da sole non bastano per capire e conoscere un territorio. Invito chiunque abbia dimostrato curiosità per un argomento, tra quelli che ho analizzato, di ricercarlo sul territorio, o quantomeno di provarci. Il paesaggio ha un significato che va oltre la consistenza reale.

Relatori: Alberto Borghini, Francesca De Carlo
Tipo di pubblicazione: A stampa
Soggetti: G Geografia, Antropologia e Luoghi geografici > GA Antropologia
G Geografia, Antropologia e Luoghi geografici > GG Piemonte
Corso di laurea: Corso di laurea in Architettura
Classe di laurea: NON SPECIFICATO
Aziende collaboratrici: NON SPECIFICATO
URI: http://webthesis.biblio.polito.it/id/eprint/2758
Capitoli:

PREFAZIONE

1 CORIO (TO)

2 CORIO (Case Levra)

3 CORIO (Frazione Ritornaro)

4 CORIO (Case Picat)

5 CORIO (Frazione Cudine)

6 CORIO (Case La Vecchia)

7 CORIO (Frazione Piano Audi)

8 CORIO (Frazione Benne)

9 ROCCA CANAVESE (TO)

10 LEVONE(TO)

11 BARBANIA(TO)

12 FRONT (Frazione Ceretti)

13 CAFASSE(TO)

14 MATHI(TO)

15 MONASTERO DI LANZO (TO)

16 MONASTERO DI LANZO (Frazione Cresto)

17 CANTOIRA (Frazione Vrù)

18 CIRIE'(TO)

19 SAN MAURIZIO CANAVESE - SAN FRANCESCO AL CAMPO

20 CASELLE TORINESE (TO)

21 TRAVERSELLA (TO)

22 SAN BENIGNO (TO)

23 TORINO

APPENDICE 1

APPENDICE 2

APPENDICE 3

BIBLIOGRAFIA

INDICE ANALITICO

Bibliografia:

• Alberto Borghini, Le mappe del simbolico - immaginario fra località esistenziale e globalità predicativa. Il luogo-icona: specificità deittica e funzione deittica; specificità locale e funzione locale, saggio introduttivo in Centro di documentazione della tradizione orale di Piazza al Serchio - LU, a cura di, Rappresentazioni e mappe del simbolico - immaginario: Minucciano in Garfagnana, Lucca, Pacini Fazzi, 2008, pp. 9-162.

• Delfina Sissolo Fiorini, Dado Maina, A mòda nòstra. Motti, proverbi, indovinelli e gergo, ediz. Piemonte in Bancarella 1995.

• Diego Genta, Claudio Santacroce, Giovanni Gugliermetti, Gente nostra. Luoghi, tradizioni e lingua dei francoprovenzali a Ceres e nelle Valli di Lanzo. Immagini d'epoca, ediz. Il Punto 2008.

• Giorgio Inaudi, Claudio Santacroce, Giovanni Gugliermetti, Viéstess d'an bòt, abito quotidiano e costume della festa nelle Valli dì Lanzo. Immagini d'epoca, ediz. Il Punto 2001.

• Don Falletti Giacomo e gli altri, Memorie storiche di Front, ediz. Centrostampa 1983.

• Clemente Novero, Giancarlo Destefanis, Giuseppe Balma-Mion, Ël pais dle "teste quadre", analisi storica, ambientale, artistica della Comunità di San Maurizio Canavese, ediz. Tipolito Melli 1981.

• Caterina Calza, Rocca Canavese. Un paese dove vivere … è bello!, ediz. Tipografia Egizia 2008

• Pier Luigi Boggetto, Levone. Storia di una piccola comunità dal pagus romano al terzo millennio, Elena Morea Editore 2003.

• Davide Negro, Memorie d'un prete di montagna (Teol. G. Battista Regis), Tipografia editrice Cav. G. Capella e figli 1973

• Sacerdote Angelo Giuseppe Balbo, Brevi cenni storici della Parrocchia di S. Bernardino da Siena in Piano degli Audi - Corio Canavese. Estratti dagli Archivi Parrocchiali dal Sacerdote Angelo Giuseppe Balbo per trent’anni Amministratore, Tipografia Casa Editrice Renzo Streglio 1905.

• Marina Conte, Valli Tesso e Malone. Alla scoperta dei comuni di Monastero di Lanzo, Coassolo e Corio, F.lli Pistono Editori 2000.

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