Cristina Gualniera
TORINO NELLO SGUARDO DI BAMBINE E BAMBINI: DIALOGHI DI CITTA' E DI ARCHITETTURA.
Rel. Luca Davico. Politecnico di Torino, Corso di laurea in Architettura, 2009
Abstract: |
Nella storia che appartiene ad ogni città si osserva perpetuo il succedersi delle spinte volte al rinnovamento. Fra i più geniali prodotti 'creati' dagli uomini e per gli uomini, la città vive respirando degli stessi battiti di vita dei suoi ospiti ed artefici, così, da sempre e fino al giorno della sua inesorabile distruzione o del lento e totale abbandono. Sistema complesso di relazioni, vincoli e contingenze, risiede nel mutamento la voce della sua continuità. Non una strada predeterminata, ma un lungo e costante processo di adattamento. La trasformazione si genera dall'analisi di un dato input che, endogeno oppure proveniente dall'ambiente esterno, interviene turbando la stabilità del sistema e compromettendone la continuità; nel ventaglio delle possibili soluzioni 'natura' selezionerebbe la migliore fra quelle che, in un processo circolare di apprendimento, abbiano prodotto la più efficace risposta. Sebbene le scelte attuate dalle società degli uomini, invece, si siano molte volte rivelate fallimentari o, comunque, suscettibili di perfezione, si può osare affermare che il paradigma secondo cui le città si siano trasformate nel tempo non si discosti poi così tanto dalla semplificazione di una descrizione darwiniana dell'evoluzione delle specie viventi. Come i colli delle giraffe, così, anche le città si sarebbero innalzate, riplasmate e modificate in ragione della propria capacità di adattamento alle mutate condizioni di vita. Organismi in divenire, ambienti artificiali incastonati in substrati naturali fatti di terre, deserti, altipiani rocciosi, campagne, pianure, colli o montagne, ancora, cielo ed acqua, fiumi e mari, uragani e terremoti. La dialettica fra habitat urbano e contesto, ambientale è motivo dominante, insistente, multiforme e sempre attuale nel percorso di ogni città, piccola o grande che sia, di terra cruda o di cemento armato. Vengono, quindi, le rivoluzioni apportate dalle più o meno grandi 'scoperte', che investono la vita nelle possibilità di difendersi, di produrre energia e sostentamento, di curarsi... , gli incipienti progressi della meccanica e della tecnica che, capillarmente, entrano a far parte delle abitudini acquisite, determinando nuove esigenze del vivere e del lavorare urbano. Al passo con i tempi, cosi, anche le città cambiano volto, immagazzinando le nuove e necessarie informazioni, selezionando quali di quelle del passato incamerare o quali definitivamente annientare. Vi sono ancora le variabili politiche, storiche, sociali, le guerre, i flussi migratori, il commercio e i mercati globali, le reti di informazioni che fanno dell'organismo città un organismo non più isolato, a sé stante, ma asservito a dinamiche superiori, più ampie e complesse. Le modalità, poi, attraverso cui i diversi sistemi urbani si siano trasformati nel tempo dipendono ancora da una molteplicità di altri fattori. Si possono osservare casistiche di percorsi più o meno radicali, con maggiore autonomia rispetto al passato o nella più sacrale continuità con esso. Ancora, le specificità dei singoli e differenti contesti geografici e culturali costituiscono quei terreni fertili alla proliferazione di ulteriori sottogruppi di soluzioni alternative per il futuro. Influiscono, inoltre, la minore o maggiore apertura ai flussi esterni, le esperienze acquisite e quelle tramandate. Tutto questo determina la contemporaneità di realtà urbane profondamente differenti fra loro. Si pensi, ad oggi, agli agglomerati urbani del capitalismo affermato, la cui vocazione è stata ed è nel segno del rinnovamento incessante, senza compromessi, dietro al passo veloce dell'hi-tech, delle progredienti idee di modernità, efficienza e stile. Oppure alle antiche capitali della storia, come quelle che costellano le mappe di tanta parte del mondo asiatico, dei territori dell'Islam... che, ancorate all'eredità di una grandezza passata e, tante volte, soprasseduta, identificano in quella statica della memoria la propria unica immagine atta ad ospitare il presente. La via di mezzo, poi, il compromesso culturale con i tempi, è il percorso a lungo rintracciabile in molta parte della storia urbana europea. Il 'libero arbitrio', ancora, che fa di certe città i modelli e di altre le riproduzioni, più o meno riuscite, più o meno sensate, di suddetti modelli. Ma non esistono icone, luoghi sacri ed involabili, tutto sembra essere potenzialmente rimesso in discussione. Come a Pechino, dove le ruspe hanno deciso il rinnovamento dell'antica capitale abbattendo, progressivamente, i vecchi e brulicanti quartieri popolari che sorgevano intorno alla cinta della città proibita (anch'essa smantellata e poi, con 'il passo del gambero', nuovamente ricostruita)'. Luoghi suggestivi che sopravvivranno ormai relegati ai ricordi di un paio di generazioni, di qualche viaggiatore o al più, nell'immaginario di chi, irrimediabilmente, non vi sia mai stato. Tuttavia, anche in questo caso, a primo acchito deprecabile, esiste la determinazione di rispondere ad una spinta al mutamento, quella dettata dalla sopravvenente modernizzazione, nell'ottica della quale, la Cina, forse dovendo anche fare i conti con un vissuto molto ingombrante, provvede oggi ad inventarsi ex novo. D'altro canto e paradossalmente, altrove nel mondo, nel centro di New York, a Manhattan, il suolo municipale di Ground Zero viene 'sacralmente musealizzato'. Tutto questo è per affermare l'assenza di una regola o codice morale predefinito dove incastonare le linee della trasformazione urbana, sottolineando, parimenti, la continua necessità dell'avvento della stessa. Partendo da queste premesse e considerando la portata raggiunta dal fenomeno urbano, ad oggi in continua crescita ed espansione (si pensi che, se nel Novecento il 10% della popolazione mondiale risiedeva in città, è calcolato dalle Nazioni Unite che dal prossimo anno, per la prima volta, la popolazione dei centri urbani supererà quella delle campagne e lo sviluppo maggiore sarà a carico delle metropoli con un numero di abitanti superiore ai dieci milioni), si comprende quanto sarebbe interessante l'indagine e la comprensione degli attuali fattori che, in potenza, potrebbero ispirare ed indirizzare i prossimi passi della metamorfosi urbana. Dunque, quali sono gli input alla trasformazione delle nostre città di oggi? Quali le modificate esigenze del vivere urbano? Come immaginare le nostre città migliori sotto il profilo sociale, amministrativo, estetico, economico? In definitiva, cosa ci si aspetterebbe dai prossimi passi dell'evoluzione urbana? Alcune delle priorità penso siano generalizzabili e facilmente condivisibili in quanto supportate da dati certi, sebbene non sempre comodamente e largamente accettabili. Mi riferisco a quei risvolti della realtà contemporanea, urbana e non, che si manifestano in condizioni ed esigenze pratiche, gerarchicamente riconducibili, come con i fili di una marionetta, ad un unico nodo centrale, ad una questione di massima portata, qual è, attualmente, quella di natura ambientale. Si tratta di una problematica che investe, infatti, le nostre coscienze, quando non si tratti direttamente delle nostre vite, e che imporrebbe serie decisioni da assumersi ai vari livelli, globali e locali, non da ultimo, quindi, anche a quello urbano. Stiamo distruggendo il nostro habitat e con conseguenze irrimediabili. Priviamo l'ambiente delle risorse fondamentali alla vita con l'uso indiscriminato delle stesse. Immettiamo nell'atmosfera sostanze tossiche che rendono l'aria irrespirabile, produciamo montagne di rifiuti, deforestiamo e cementiamo. Sembrerebbe a primo sguardo l'opera potente e distruttiva di un demiurgo incontrastato, sono tuttavia le conseguenze dello stile di vita di relativamente poche persone che ricadono, gravi, sull'umanità intera. Lo scenario futuribile che la scienza descrive è a dir poco apocalittico, eppure le sorde dinamiche di potere che regolano i flussi della nostra esistenza paiono tristemente non preoccuparsene e, sebbene si sia fatto già molto sul piano della sensibilizzazione, le idee troppe volte sembrerebbero circolare dal basso, per poi arrestarsi, drammaticamente in alto, ai livelli decisionali. Evidente che, perso il contatto ancestrale con la natura è andata persa ogni ragione, rimangono solo l'umana follia, il desiderio di possedere ed il delirio di onnipotenza a guidare l'inarrestabile declino degli uomini. Perché di questo si tratta se si pensa che il fallimento di uno dei provvedimenti più 'globali' degli ultimi anni, relativamente al controllo delle emissioni dei gas serra nell'ambiente, il protocollo di Kyoto, non sia stato sottoscritto e firmato dai maggiori responsabili contribuenti all'inquinamento mondiale. Frustrante e sconsolante per chi osserva, soprattutto perché, troppo spesso, nelle decisioni e nei comportamenti di tutti i giorni, non si può che patteggiare fra la propria personale coscienza ed il sistema che ci circonda. Volendo ora dipanare il filo di questo discorso, si è detto della città e della sua essenza 'in divenire' che ne rende necessario il ripensamento ed il continuo mutamento, indagando, poi, le possibili vie delle future trasformazioni urbane, si è voluto riferire alle problematiche connesse all'ambiente come alla ragione centrale cui potenzialmente ricondurre le energie di programmi ed intenti. Dunque, nello specifico, quali relazioni intrecciano le sorti di città ed ambiente? In primo luogo, direi, un nesso di diretta responsabilità, in un rapporto causa - effetto che vede la prima come imputata per i danni al secondo. La città, infatti, per la sua alta densità (abitativa, lavorativa, di servizi, di produzioni e mezzi) agisce come amplificatore delle componenti più distorte insite nel vivere umano. Seppure occupando solo il 2 per cento della superficie di suolo terrestre, le città consumano i tre quarti delle risorse utilizzate ogni anno sul pianeta, producendo rifiuti e sostanze tossiche. Un indicatore semplice ed interessante è 'l'impronta ecologica', definita dall'ecologo William Rees come la dimensione del territorio biologicamente produttivo necessario a soddisfare i consumi e ad assorbire i rifiuti di una certa popolazione. A riguardo, cito nuovamente il giornalista Fred Pearce nell'articolo apparso sul New Scientist con il titolo "Le città del futuro", "...Londra, per esempio, ha bisogno di una superficie 125 volte più grandedella propria per produrre le risorse che consuma. E se anche le nuove metropoli del mondo in via di sviluppo cresceranno come quelle dell'occidente, l'impatto ambientale sarà catastrofico " ed, in seguito, aggiunge che "secondo gli scienziati un'impronta ecologica dovrebbe essere di 1,8 ettari di terra a persona perché sia sostenibile, cioè in grado di distribuire equamente le risorse del mondo fra i suoi abitanti. Oggi la Cina rurale ha una media di 1, 6, Shangai di 7 e l'America di 9,7." In secondo luogo, fra città e ambiente dovrebbe esistere un nesso definito dalla comunione degli intenti; immaginare una trasformazione urbana volta al recupero dell'equilibrio con l'habitat naturale, significherebbe l'abbattimento delle peggiori caratteristiche di cui si fregiano, in misura maggiore o minore, molte delle aree metropolitane di oggi, a favore di un recupero di benessere in termini di qualità della vita. Questa potrebbe essere una risoluzione ai problemi della segregazione e disparità sociali, all'iniquità nell'uso degli spazi fra pubblico e privato, al malfunzionamento dei servizi, al dominio incontrastato dell'automobile, alla logica ed agli interessi radicati che si ostinano a vedere il cittadino consumatore prima ancora che libero fruitore. Attraverso questi ed altri presupposti, le tematiche dei mutamenti che interessano l'ambiente, naturale ed urbano, si intrecciano a formare un sodalizio che deve interpellare e coinvolgere gli interessi di differenti discipline, di molti operatori e contesti, in un rapporto possibilmente sinergico e fruttuoso. "I problemi ambientali, non sono innanzitutto problemi naturalistici, ma sono in prima istanza problemi sociali e come tali vanno trattati: essi cadono sotto il dominio culturale e non sotto il dominio degli ecosistemi naturalistici. " "In tal senso, l'architettura può sensibilmente recuperare il proprio più nobile valore, ovvero di essere realmente 'a servizio della società'." Si tratta, va sottolineato, di un interpretazione del fenomeno urbano che non ne esclude altre e non ha la pretesa di autenticità in quanto frutto di una rielaborazione soggettiva di dati, fatti ed osservazioni già acquisite da fonti altrui. A questo modo si inizia a delineare l'intenzione di una tesi concepita così, da potermi consentire, fra le altre cose, di esprimere un'adesione morale rispetto a questo filone di idee e contenuti. Trovo necessario far cenno all'altra faccia della città, quella fin qui omessa, quella oltre i conflitti, le tensioni e la desolazione di cui si è detto fin ora, ma d'aspetto vitale, muscolare, dalla creatività vibrante, espressione di tempi e culture, da sé sutiiciente a fare dell'osservazione del fenomeno urbano un richiamo di indiscusso fascino ed interesse. Alla luce di queste ed altre più semplici considerazioni, quali la voglia e l'ambizione di praticare il dialogo fra sociologia ed architettura, prende avvio l'idea di questo lavoro. Messa al centro è, naturalmente a questo punto, la città, ma quella di Torino, in particolare, in un percorso che coinvolge, come diretti protagonisti, i bambini. Con gli occhi di questi ultimi, che a Torino abitano, o che vi si recano a scuola, si è parlato della città, del modo di viverla, delle sue contraddizioni, delle aspettative e degli specifici interessi di una peculiare fascia di età. Il lavoro si dipana attraverso una successione di eventi che, nel corso di un anno scolastico, hanno portato ad una doppia campagna di interviste, al progetto, insieme alle maestre, di un percorso didattico in classe con oggetto l'architettura e l'urbanistica cittadine, all'esperienza di una prima visita guidata, camminando per le vie del centro, con tanto di mappa alla mano, fino alla possibilità di spazi, divertenti, lasciati alla libera espressione creativa. Gli obiettivi sono molti, primo fra tutti quello di mettere in luce una delle tante e possibili letture che, insieme, possano concorrere a restituire un immagine organica dell'esperienza urbana, magari funzionale alle sue future trasformazioni. Quindi, la scelta di interlocutori così selezionati si pone nell'ottica di un atto di denuncia a carico di politiche e scelte che hanno voluto far crescere le nostre città secondo criteri indifferenti alle esigenze delle categorie più deboli, fra le quali, per l'appunto, quella dell'infanzia. Inoltre, con un po' di lungimiranza, si vuole ribadire l'enorme potenzialità che sottende l'opera di sensibilizzazione del mondo dei più piccoli nel determinare le sorti del domani. In realtà, non si tratterebbe nemmeno di 'sensibilizzare', giacché i bambini sembrano di per sè essere molto spesso più inclini a certe tematiche di quanto non ci si aspetterebbe, quindi, sarebbe bello poterli solo aiutare ad aver cura ed a non dimenticare mai ciò che gran parte del mondo adulto di oggi sembrerebbe aver irrimediabilmente perduto. Non da ultimo, la possibilità di sperimentare una modalità differente di comunicare quanto appreso dell'architettura e del suo significato, perché, se qualcuno ha detto che i grandi cambiamenti nascono dalle utopie, vale la pena pensare che abbia senso percorrere la strada di quello che, ad oggi, parrebbe essere un obiettivo impossibile e lontano. |
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Relators: | Luca Davico |
Publication type: | Printed |
Subjects: | G Geografia, Antropologia e Luoghi geografici > GA Antropologia G Geografia, Antropologia e Luoghi geografici > GG Piemonte |
Corso di laurea: | Corso di laurea in Architettura |
Classe di laurea: | UNSPECIFIED |
Aziende collaboratrici: | UNSPECIFIED |
URI: | http://webthesis.biblio.polito.it/id/eprint/1517 |
Chapters: | Introduzione Premessa Capitolo I 1.0 Il campione di indagine
Capitolo II Prima intervista
2.0 II percorso di lavoro 2.1 Definizioni di "architettura" 2.2 Analisi 2.2.1 L'autonomia 2.2.2 L'automobile 2.2.3 Osservare e domandare 2.2.4 Conoscenze acquisite 2.2.5 Visitando la città 2.2.6 Torino, nel bene e nel male 2.2,7 L'ipotesi di un libro
Capitolo III Seconda Intervista
3.0 Il percorso di lavoro 3.1 Fotostimolo n°1 3.1.1 Titoli 3.1.2 Descrizioni 3.1.3 Pensieri ed opinioni 3.2 Fotostimolo n°2 3.2.1 Titoli 3.2.2 Descrizioni 3.2.3 Pensieri ed opinioni 3.3 Fotostimolo n°3 3.3.1 Titoli 3.3.2 Descrizioni 3.3.3 Pensieri ed opinioni 3.4 Fotostimolo n°4 3.4.1 Titoli 3.4.2 Descrizioni 3.4.3 Pensieri ed opinioni 3.5 Fotostimolo n°5 3.5.1 Titoli 3.5.2 Descrizioni 3.5.3 Pensieri ed opinioni 3.6 Fotostimolo n°6 3.6.1 Titoli 3.6.2 Descrizioni 3.6.3 Pensieri ed opinioni
Capitolo IV
Lezione Fantasie e disegni 4.0 Introduzione 4.1 Breve esperimento didattico 4.2 11 percorso attraverso la fantasia: parole e disegni 4.2.1 Scenari fiabeschi 4.2.2 Scenari catastrofici 4.2.3 Il colore 4.2.4 Idee progettuali 4.2.5 Riadattamenti d'uso 4.2.6 Rivisitazioni ecologiche 4.2.7 Suggestioni dal passato 4.2.8 Forme ed oggetti nascosti 4.2.9 Immagini antropomorfiche ed oggetti animati 4.2.10 Inquilini 193 4.2.11 Cinema, giochi, videogiochi, cartoni animati e TV
Capitolo IV
Conclusioni
Bibliografia |
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