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Il patrimonio industriale come bene comune : rigenerazione del complesso Widemann a San Germano Chisone : da cotonificio a "porta di valle"

Francesco Paolo Rolfo

Il patrimonio industriale come bene comune : rigenerazione del complesso Widemann a San Germano Chisone : da cotonificio a "porta di valle".

Rel. Emanuele Romeo, Paolo Mellano, Riccardo Rudiero. Politecnico di Torino, Corso di laurea magistrale in Architettura Costruzione Città, 2017

Abstract:

PREFAZIONE

L'archeologia industriale è una disciplina nata in Inghilterra a metà del XX secolo, sviluppatasi nel ventennio seguente in Europa assumendo connotazioni e sfumature semantiche caratteristiche dei singoli paesi; la caratterizzazione differente è conseguenza della territorialità e dei diversi panorami nazionali, direttamente influenzati dal patrimonio, dall'eredità, dallo sviluppo e dalla "età industriale". In meno di un secolo sono stati teorizzati numerosi approcci, influenzati dai diversi contesti e dalle realtà industriali a cui facevano (e ancora fanno) riferimento; in numerosi casi si è instaurato un processo di evoluzione teorica e pratica, che ha portato ad una situazione di comune accordo e chiarezza in ambito accademico. A distanza di circa mezzo secolo dalla nascita della dottrina è possibile affermare che:

“L'archeologia industriale è una disciplina che, partendo dallo studio dei resti materiali dell'industrializzazione (oggetti, macchine ed edifici), concorre alla ricostruzione della fisionomia di un determinato territorio, della sua storia, delle sue modificazioni e con essa alla conoscenza della storia di un popolo, della sua cultura e della sua civiltà. Le fabbriche, le macchine, le strade ferrate, le stazioni ferroviarie, i ponti, i villaggi operai, le cave e le miniere e quant'altro, sono i resti fisici, l'oggetto dell'archeologia industriale, che testimoniano le trasformazioni subite dall'ambiente a seguito dell'impatto dell'industria sul territorio. Un genere particolare, dunque, di Bene Culturale: si tratta di quei beni storici che testimoniano l'evolversi del mondo industriale.”

La definizione che Giancarlo Elia Valori ha presentato durante il convegno Archeologia industriale. La conservazione della memoria. Esperienze e territori a confronto, tenutosi a Roma nel 2003, è una delle tante che nel corso di cinquant'anni è stata attribuita al binomio risalente alla metà del '900, periodo in cui venne introdotto nel panorama internazionale; Donald Dudley, direttore del dipartimento "Extra-Mural" della Birmingham University, fu il primo ad utilizzare in neologismo 'archeologia industriale' durante una lezione universitaria. Tale espressione venne rapidamente accolta nel mondo accademico, tant'è che nel 1955 apparve per la prima volta in una pubblicazione ufficiale: nel periodico The Amateur Historian, all'interno di un articolo a cura di Michael Rix, membro del dipartimento di D. Dudley; il quale ne scrisse a riguardo:

“In Gran Bretagna, patria delle rivoluzione industriale, sono presenti numerosissimi monumenti, lasciti di una serie di notevoli eventi ad essa legati. Ogni altro paese avrebbe istituito un sistema capace di schedare e conservare tali memorie, le quali simbolizzano il cambiamento che ha modificato e che continua a modificare la faccia del pianeta; ma noi siamo talmente noncuranti riguardo al patrimonio nazionale che, a parte pochi musei, la maggioranza di questi edifici chiave risulta essere trascurata e/o molto spesso inconsapevolmente distrutta.”

La sempre e maggiore attenzione sviluppatasi in Inghilterra nei confronti dei resti industriali, a partire dalla metà del secolo passato, è stata conseguenza diretta di fattori che hanno portato notevoli cambiamenti nel panorama storico-sociale anglosassone; tra i quali la seconda guerra mondiale e le pubblicazioni di due testi storici: English Social Hi story e Locai History in England. In seguito al secondo conflitto mondiale, alle distruzioni che hanno interessato le città inglesi e alla necessaria ristrutturazione dell'industria britannica, alla fine degli anni '50 venne messa in atto una vasta riorganizzazione del tessuto urbano e delle aree industriali; in questa occasione e per la prima volta dalla nascita di impianti proto-industriali si dovette far fronte alle necessità di conservare, demolire e riutilizzare enormi complessi prima destinati alla produzione intensiva.

L'interesse verso l'archeologia industriale è stato, senza dubbio, influenzato dal rinnovato status che la storia e il popolo hanno acquisito durante il corso del '900; infatti nei secoli precedenti non era posta alcuna attenzione nei confronti di ciò che era considerato umile lavoro e mezzo di sostentamento delle masse, le quali non avevano alcun ruolo ne riconoscimento all'interno della società (se non quello di rappresentanza della forza lavoro).

Un altro aspetto che ha indirettamente influenzato la nascita dell'archeologia industriale è senza dubbio la rivoluzione teorica del concetto di monumento di inizio secolo, avviata da Alois Riegl e sviluppata all'interno dei testi Industria artistica tardo romana; Antichi tappeti orientali e II culto moderno dei monumenti - Il suo carattere e i suoi inizi; scritti grazie ai quali l'autore mette in discussione la convinzione dell'esistenza esclusiva di monumenti storico-aulici, ampliando l'attenzione anche a manufatti dei quali fino ad allora non erano riconosciuto alcun valore. La prima rivoluzione concettuale consiste nella distinzione di tre classi all'interno delle quali rientrano tutti i monumenti del passato, distinguendo monumenti storici, monumenti antichi e monumenti intenzionali; distinzione necessaria se si conviene che:

“Il senso e il significato di monumenti non spetta alle opere in virtù della loro destinazione originale, ma siamo piuttosto noi, i soggetti moderni, che li attribuiamo ad esse. In tutti e due i casi - con i monumenti intenzionali e con quelli involontari - si tratta di un valore in quanto memoria, e perciò parliamo di monumenti riferendoci ad entrambi.”

Il valore storico, il valore dell'antico e il valore intenzionale in quanto memoria, caratterizzanti le tre classi di monumenti de-lineati, non erano però sufficienti perché non attribuibili ai manufatti di «creazione moderna or ora formata»; per tale motivo A. Riegl introdusse anche i valori contemporanei, quali valore d'uso, valore artistico e valore artistico relativo.

La teorizzazione presentata modificò profondamente i criteri sui quali erano basate le dinamiche di tutela e conservazione (durante il periodo trattato ancora agli albori) al punto tale che l'interesse venne posto anche su edifici industriali; e nonostante il binomio 'archeologia industriale' abbia suscitato sin dall'inizio forte perplessità semantica - suggerendo la presenza di un errore formale nella relazione tra disciplina archeologica e industrializzazione, motivata dalle incongruenze tra ambito di ricerca e lasso temporale - ha posto le sue basi all'interno della dottrina dell'archeologia. Seppur vero che, secondo la tradizione, l'archeologia era materia rivolta a studiare il periodo storico classico e, diversamente, l'industrializzazione era un argomento precedente solo 200 anni, la scelta del neologismo 'archeologia industriale' è espressione del metodo di analisi intrapreso per esaminare la cultura materiale e non, che dalla prima industrializzazione ad oggi ha modificato la società e il paesaggio. A fondamento dell'esatta percezione dei teorici dello scorso secolo è possibile affermare che ad oggi (appare evidente come) gli orizzonti dell'archeologia si siano ampliati notevolmente, al punto che gli interessi investigati non coincidono unicamente con la produzione artistico-architettonica e lo studio delle popolazioni preindustriali, ma, allo stesso modo delle materie citate, anche con le economie, le relazioni uomo/ambiente, la cultura materiale e il sapere immateriale che trovano senso e giustificazione nei processi di trasformazione culturale. Uno dei protagonisti della nascita dell'archeologia industriale fu il britannico Kenneth Hudson, il quale, con la volontà di esprimere la correttezza del binomio, dichiarò: «Ogni cosa nasce ed invecchia; allo stesso modo ogni cultura e ogni industria hanno il dovere di essere considerate in relazione alla loro scala temporale». Tale affermazione esprime appieno la concezione secondo la quale l'archeologia era materia adatta (e continua ad esserlo) a trattare ed investigare, con metodo scientifico, anche manufatti e civiltà recenti. La teorizzazione presentata, risalente allo scorso secolo, infatti continua ad essere fondamento della dottrina dell'archeologia industriale contemporanea, la quale analizza le tecniche e le tecnologie, le infrastrutture e i sistemi economico-sociali che in seguito alla rivoluzione industriale hanno avuto un ruolo fondamentale nell'organizzazione della società moderna. Con l'attribuzione del ruolo di archeo alla nascita della macchina (causa prima della rivoluzione industriale), si sono legittimati i presupposti per una dilatazione dei limiti cronologici del campo di analisi della dottrina, permettendo di investigare le 'società delle macchine' da metà del XX secolo ad oggi. Nella prefazione del libro IndustriaI Archeology: An Introduction di K. Hudson -versione in italiano-, Sabatino Moscati afferma che: «Il denominatore essenziale dell'archeologia, insomma, si rivela sempre più da identificare nel metodo, cioè nel recupero delle testimonianze materiali del tempo trascorso; e questo tempo può essere vecchio solo di anni, anziché di secoli o di millenni.». Nonostante l'oggetto da analizzare appartenga alla storia più recente, l'archeologia risulta essere il miglior metodo di investigazione scientifica applicabile; attraverso le procedure che la caratterizzano, quali l'individuazione, la catalogazione e la descrizione, identifica, esamina e analizza i manufatti attraverso i resti materiali; allo stesso modo, studia i documenti scritti e le tracce presenti nel territorio per poter restituire una conoscenza profonda degli elementi e delle condizioni umane passate.

La nuova caratterizzazione cronologica non è l'unico aspetto innovato nell'archeologia industriale; infatti in egual misura alla dilatazione temporale anche l'ambito di ricerca ha subito un notevole ampliamento: alla storia della tecnica viene integrato lo studio delle situazioni socio-politiche contemporanee e conseguenti le innovazioni tecnologiche.

Il compito dell'archeologia industriale è quindi, anche, quello di ricostruire il panorama 'umano' che costituisce la società industrializzata; un concetto che K. Hudson ha sempre sostenuto, ritenendo che la «storia riguarda le persone e non gli oggetti, i quali, anche se motori a vapore, cotonifici o vasi neolitici hanno un valore solo se testimoniano l'utilizzo che l'uomo ne ha fatto». La citazione riportata introduce il concetto di cultura materiale, materia nata molto prima e in ambiti differenti rispetto a quelli della rivoluzione industriale, ma che trova in tal periodo argomenti floridi da investigare. L'interdisciplinarità dell'archeologia industriale ha lo scopo di studiare, partendo dai resti materiali, l'organizzazione delle società attraverso l'analisi delle attività destinate alla produzione, alla distribuzione e al consumo, parallelamente al panorama in cui si attuano e alle connessioni createsi con il processo storico a cui appartengono.

La cultura materiale ha il compito di riportare le condizioni di vita della maggioranza della popolazione ed i rapporti sociali condivisi dalla moltitudine, attraverso lo studio di tutti i beni collettivi e immateriali, tra i quali: pensieri, idee, credenze, norme morali e legislative; si distingue tra i soggetti ed è costituita dall'insieme dei 'manufatti', i quali sono il risultato di comportamenti e pratiche di produzione, uso, scambio, acquisto e vendita.

Nonostante il patrimonio materiale faccia parte fin dal principio del campo di ricerca dell'archeologia industriale, per il primo ventennio circa vi sono state sostanziali differenze tra ambito teorico e pratico: le prime esperienze di conservazione del patrimonio esprimevano un'attenzione concentrata principalmente sul 'monumento industriale', il quale era rappresentato da una singola macchina o un singolo sistema tecnologico (come ad esempio un ponte o un mulino); un unico oggetto investito della funzione di 'moneo' e meritevole di tutela, con il compito di mantenere vivo il ricordo dello sviluppo tecnologico di cui era frutto ed espressione. Inizialmente il rapporto instauratosi tra macchina e archeologia industriale era identico a quello tra vaso ellenistico ed archeologia classica.

Con il passare degli anni e l'aumento degli argomenti indagati, la dottrina ha subito un'evoluzione; si è capito ben presto che l'analisi limitata all'oggetto esclusivo (il monumento industriale) non era sufficiente per rappresentare appieno le vicende storiche a cui era legato, ed inoltre, come mezzo di studio dei processi di produzione, il monumento non riusciva ad esprimere le connessioni tra produzione e ambito storico-sociale. La causa era riscontrabile nella mancata analisi del rapporto tra il manufatto e il contesto territoriale in cui era inserito; lacuna che creava una scissione profonda dalle vicende storiche, economiche ed ambientali che avevano contribuito alla caratterizzazione dell'oggetto stesso, sia che esso fosse un oggetto meccanico sia un edificio. Lo sviluppo moderno che ha investito anche e più in generale il campo di ricerca del restauro ha consentito che diventassero parte integrante dell'analisi elementi quali le fabbriche, le case e i territori su cui insistevano: insomma tutti i luoghi dove le persone trascorrevano la loro vita, rendendo possibile il processo di produzione. Come affermano R. Francovich e D. Manacorda:

“Non si tratta, dunque, di riconoscere unicamente la storia economica e sociale di un determinato ambito geografico a partire da qualche documento materiale nel corso della ricerca archeologica, bensì di trovare le circostanze materiali e tecnologie che hanno consentito l'originarsi della fabbricazione di una macchina, di un congegno o di uno stabilimento industriale, e, allo stesso tempo, di individuare le conseguenze che tali avvenimenti hanno avuto sull'intero ambiente, sia naturale che umano; l'archeologia industriale cerca quindi di elaborare degli strumenti di indagine che, a partire da elementi concreti, consentano la ricostruzione dello spazio materiale e umano che circonda la società.”

Lo sviluppo della dottrina e l'aumento della tipologia di oggetti analizzati e della loro dimensione (fisica) sono progrediti seguendo un rapporto di diretta proporzionalità; se l'approccio iniziale in Inghilterra era focalizzato sugli aspetti tecnologici del monumento (ovvero sugli ambiti strettamente inerenti la cultura tecnica), in Italia era la visione storico-architettonica a dominare la ricerca (quindi la caratterizzazione prettamente estetica); ma ben presto si è capito che tale approccio non era sufficiente, in quanto l'attività industriale non era riassumibile in un singolo macchinario e/o edificio.

L'aumento degli interessi e degli aspetti indagati dall'archeologia industriale ha permesso che il concetto di 'monumento industriale' si estendesse anche ai dintorni geografici del monumento stesso, trasformando l'oggetto della ricerca prima in 'sito industriale' e in seguito in 'paesaggio industriale'; così, il monumento industriale è stato subordinato alla sensibilità civile e alla coscienza collettiva. Residenze operaie, luoghi di ritrovo dei lavoratori, edifici di culto e infrastrutture diventano oggetti fondamentali sui quali basare la ricerca con il fine di inserire l'edificio industriale nel contesto a cui apparteneva, l'unico in grado di permettere e garantire il funzionamento dell'intero sistema produttivo. La dilatazione spaziale è espressione di un nuovo interesse, attento alle interrelazioni tra fenomeno industriale e territoriale; l'ambiente è il luogo ove insistono gli insediamenti e le infrastrutture, inglobandolo nell'analisi processuale dello sviluppo industriale si creano i presupposti per una visione d'insieme, all'interno della quale viene caratterizzato l'edificio destinato alla produzione. Inoltre è possibile considerare le relazioni tra sistema produttivo e risorse naturali, le quali hanno permesso lo sviluppo di processi industriali in determinate aree piuttosto che in altre.

L'interesse verso aspetti, che inizialmente erano considerati poco rilevanti in materia di archeologia industriale, ha portato ad una caratterizzazione pluridisciplinare della materia; le discipline che concorrono nello studio delle situazioni storico-sociali, in egual misura alle materie tecniche, si sono ampliate arrivando ad includere materie quali la sociologia, l'antropologia, la etnoarcheologia, la storia economica e la storia politica; materie che, spaziando dall'aspetto prettamente tecnico a quello sociale, si compenetrano e si integrano con il fine ultimo di restituire un'analisi il quanto più possibile reale del sistema industria; la storia tecnica della produzione di utensili o di energia elettrica ha oggigiorno, nello studio dei processi industriali del passato, lo stesso valore della storia della divisione in gruppi sociali o delle lotte sindacali.

In meno di un secolo la considerazione posta nei confronti dei resti industriali si è modificata radicalmente, da mere rimanenza è diventato un patrimonio. La disciplina nata in Inghilterra sotto il nome di archeologia industriale ha perseguito vie nazionali molto distinte, caratterizzate da approcci e soluzioni differenti, al punto di evolversi in alcuni casi, come ad esempio quello italiano, in storia del patrimonio industriale.

Relatori: Emanuele Romeo, Paolo Mellano, Riccardo Rudiero
Tipo di pubblicazione: A stampa
Soggetti: R Restauro > RA Restauro Artchitettonico
ST Storia > STB Archeologia
ST Storia > STI Periodo contemporaneo (fino alla II Guerra Mondiale)
Corso di laurea: Corso di laurea magistrale in Architettura Costruzione Città
Classe di laurea: NON SPECIFICATO
Aziende collaboratrici: NON SPECIFICATO
URI: http://webthesis.biblio.polito.it/id/eprint/6282
Capitoli:

0. Prefazione

1. La conservazione dell'eredità industriale: una questione di valori

1.1 Analisi dell'affermazione del patrimonio industriale attraverso le carte nazionali ed internazionali della conservazione e del restauro e la normativa

1.2 La valorizzazione dell'eredità industriale

1.2.1 Valore scientifico-conoscitivo

1.2.2 Valore estetico-formale

1.2.3 Valore economico

1.2.4 Valore simbolico-sociale

1.2.5 Valore geografico-identitario

2. Interpretare l'eredità industriale come bene comune

2.1 II valore territoriale dell'eredità industriale

2.2 Identità territoriale e sviluppo locale

2.3 Modello T/D/R

2.4 Beni comuni e territorio

3. Rigenerare l'eredità industriale

3.1 Oltre il (ri)uso, oltre la semantica

3.2 (Ri)Utilizzare o riciclare il patrimonio industriale

3.3 Conservazione e sostenibilità, un binomio imprescindibile 

3.4 Pratiche contemporanee per la (ri)funzionalizzazione degli spazi dismessi

3.4.1 Start-up culturali e sociali

3.4.2 La Partecipazione

4. Il caso studio

4.1 La Val Chisone

4.1.1 Storia dello sviluppo sociale e produttivo

4.1.2 Analisi geografica e delle dinamiche sociali e produttive contemporanee

4.2 San Germano Chisone

4.3 II cotonificio Widemann

4.3.1 La storia e sviluppo

4.3.2 L'edificio e le stratificazioni - Analisi planimetrica

4.3.3 L'architettura e gli spazi del lavoro - Analisi fotografica

5. Progetto

Bibliografia:

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