Luca Tallarita
Marseille : capitale de la rupture : tra grande progetto e conflitti.
Rel. Francesca Governa. Politecnico di Torino, Corso di laurea magistrale in Architettura Costruzione Città, 2015
Abstract: |
L'enorme cambiamento dei mezzi di comunicazione odierni, il senso di accelerazione della vita, la presenza di flussi sempre più densi e relazioni globali, ci fanno intendere come ora la città debba essere studiata come un luogo di collegamento locale-globale (Amin, Thrift, 2005). Negli studi urbani contemporanei non è più possibile pensare alle città esclusivamente attraverso relazioni di prossimità, poiché queste sono spazi permeabili, caratterizzati da flussi aperti, sono luoghi estensivi e di estensione, di un quadro di relazioni estese. I confini delle nostre città sono diventati estremamente permeabili ed estesi, le relazioni troppo veloci ed aspaziali, diventa quindi impossibile pensare la città nella sua totalità e prevederne gli sviluppi in rapporti di causa-effetto, da qui la necessità di seguire la complessità dei frammenti e leggere la città come un luogo di mobilità, possibilità, imprevisti e flussi di pratiche quotidiane (Amin, Thrift, 2005). Ragionando sulla città contemporanea come un nodo di un reticolo globale investito da flussi che creano relazioni di tipo locale-globale, riferito agli studi fatti da Guido Martinotti (1993) sulle attività che si svolgono nelle nostre città (abitare, lavorare e consumare), mettendo in evidenza come gli abitanti delle nostre città possono essere suddivisi in quattro “popolazioni”: i residenti, i pendolari, i city users e i metropolitan buisinessmen (Governa, Memoli, 2011, p.221), si ritiene possibile suddividere i flussi in più tipologie che si trovano su livelli diversi e formati da abitanti completamente differenti tra di loro che in molti casi non entrano neanche in contatto. Questa moltitudine di flussi e d’individui difficili da studiare e impossibili da catalogare si possono però semplificare in due grandi famiglie (Governa, Memoli, 2011). Una famiglia che agisce ad un livello più “alto”, determinata da processi politici ed economici che promuovono il marketing urbano, la città creativa e tutto ciò che è caratterizzato da grosse somme di denaro investite da una pluralità di attori d'importanza locale/nazionale/internazionale e da un grande ritorno d'immagine a livello globale (vedi le olimpiadi, i mondiali di calcio, la capitale della cultura). L’altra famiglia invece agisce ad un livello più “basso”, determinata da elementi meno evidenti a livello economico e politico per la città, ma ugualmente importanti per la vita quotidiana anzi, alPintemo di questa famiglia, possiamo inserire la maggior parte della popolazione che compone la nostra città da un punto di vista fisico e di capitale umano. Queste due grandi famiglie lavorano, consumano e vivono la città in maniera diversa, spesso agiscono all’interno dei medesimi circuiti economici, ma nella maggior parte dei casi questi flussi non entrano mai direttamente in contatto. Questa prima e grossolana differenziazione dei flussi può essere estremamente importante per capire e comprendere la composizione spaziale della città e dove questi flussi agiscono, collaborano e si allontanano. Facendo un esempio banale, possiamo dire che i nodi gestionali ed economici delle nostre città vengono vissuti e consumati dalla famiglia rappresentata dalla classe “alta” mentre altre aree della città verranno sfruttate e vissute dalla classe più “bassa”. L’osservazione di questi flussi e di queste popolazioni permette di soffermarsi sulla vita quotidiana delle nostre città e in particolare sulla vita trasferita negli spazi pubblici, nei quali risulta di particolare interesse la differenza formale tra uno spazio vissuto dalla classe sociale più “alta”, che può essere rappresentata dai ricchi e uno spazio vissuto dalla classe sociale più “bassa”, rappresentata dai poveri (Secchi, 2013). Pertanto gli spazi urbani vissuti dalle due famiglie sono fisicamente molto differenti. Gli spazi urbani della classe più “bassa” sono caratterizzati da un fattore comune, attuale e importante per tutte le scale urbane, i flussi migratori. I circuiti economici e politici che investono queste aree urbane ne facilitano l’insediamento. La presenza di abitanti della stessa comunità etnica, unita ai costi della vita più favorevoli (Mercati, Negozi etnici, prezzi degli affitti bassi, la possibilità di condividere con un elevato numero di persone un’abitazione), facilita il radicamento di popolazioni migranti in determinate aree della città (Porta Palazzo, Barriera di Milano a Torino). Non possiamo nascondere l’evoluzione multietnica che stiamo attraversando, capace di generare città multicolore ricche di culture differenti che sperimentano convivenza e tolleranza. L’impatto sui flussi migratori sulle città è sempre più forte e tangibile. Non stiamo parlando di un argomento nuovo, anzi gli esseri umani hanno sempre migrato. Guardando a esempi recenti che ci riguardano da vicino, abbiamo: le grandi migrazioni transnazionali d’inizio novecento verso l’America oppure le migrazioni interne degli anni ‘50/’60/’70 che hanno determinato l’espansione e la crescita delle grandi città del Nord Italia. Oggi però ci troviamo di fronte a un nuovo fenomeno migratorio inserito all’interno di flussi globali. I concetti sovra elencati ci aiutano a determinare la frammentazione spaziale delle città che si può raggruppare in due grandi spazi urbani determinati da caratteristiche fisiche e simboliche notevolmente differenti. Da una parte troviamo gli spazi “globalizzati” del commercio caratterizzati da edifici scintillanti in cui si ammassano negozi che presentano i prodotti delle grandi multinazionali, da H&M a Benetton, passando per Zara (come accade anche in Rue de la Republique a Marsiglia); dall’altra, sempre più spesso passeggiando per le nostre città, ci si trova immersi in strade piene di negozi multietnici, profumi che non fanno parte della nostra cultura e le nostre orecchie sono investite da parole che provengono da “mondi lontani”. Le pratiche e le routine socio-culturali, oggi percepite come estranee, vengono trasportate permettendo così l’ibridazione e il progressivo assorbimento da parte di quella che siamo soliti definire “la nostra cultura”. Queste zone della città, che spesso presentano spazi ed edifici degradati, gli spazi pubblici, sono luoghi dove l’attenzione pubbliche e le politiche urbane non arrivano. E’ esattamente su queste zone della città che si soffermano il mio sguardo, i miei studi e le mie riflessioni. Nonostante lo stato di degrado in cui le strade spesso risultano inospitali teatri di criminalità e la mancanza di spazi per la socialità essi appaiono come i luoghi più interessanti e più affascinanti all’interno della città contemporanee. Sono spazi in cui si moltiplicano le sensazioni e dove si può riconoscere l’incredibile inerzia della città e della popolazione che la abita. In questi interstizi urbani è possibile leggere le abitudini e le relazioni tra cittadini e allo stesso tempo il distacco e la lontananza marcate spesso da grandi vie di scorrimento e da altre aree urbane esclusive. Le azioni e le problematiche urbane, architettoniche e sociali che investono queste aree fanno comunque parte della vita quotidiana e vanno prese in considerazione insieme a molteplici elementi motivo di ulteriori studi e approfondimenti di difficile lettura e soluzione. Mettendo in relazione il tema dei grandi progetti di rigenerazione urbana e i “quartieri difficili”, ho trovato nel quartiere de La Belle de Mai di Marsiglia un caso interessante. Gli obiettivi del progetto di tesi possono essere riassunti in due punti principali : 1) la possibilità di mettere in relazione un quartiere popolare con un grande progetto di rigenerazione urbana, La Friche, sulle basi dell’industria creativa; 2) provare a individuare altre modalità di rigenerazione urbana a grande scala ,meno invasive, che non diano avvio a processi di gentri-fication (Slater, 2011). In molti casi, analizzando politiche e progetti di rigenerazione urbana, il processo naturale al quale si assiste è appunto quello della gentrification. Possiamo quindi parlare di gentrifìcation come un sinonimo di spostamento (ibid.). Lo studio sul processo ha inizio grazie agli studi della sociologa Ruth Glass a partire dal 1964, in particolare sull'impatto dell’Housing Act del 1969 nel centro di Londra, il quale atto consisteva nell’aumentare il livello delle nuove costruzioni delle case facendo crescere lo standard abitativo {ibid.). Si trattava di un processo incrementale, quasi spontaneo, in cui il comune aiutava economicamente le famiglie per la ristrutturazione delle proprie unità immobiliari. Negli ultimi trent’anni più filoni di pensieri hanno definito e trattato la gentrification sia come un processo negativo che positivo {ibid.). In particolare gli studi si sono incentrati sull’analisi degli spostamenti di alcune fasce delle popolazioni dovuti a processi di gentrification. Alcuni studiosi come Hamnett (1973, 1980, 1991), Vigdor (2002) e Freeman (2004) vedono lo spostamento delle popolazioni dai quartieri gentrificati come un fenomeno non dovuto al processo di gentrifìcation, mettendo in risalto i soli lati positivi del processo (Slater, 2011). Altri, come Marcuse (1985,1986), mettono invece in risalto lo stretto rapporto tra i territori abbandonati e il fenomeno, studiando e evidenziando le diverse tipologie di spostamento della popolazione (Slater, 2011). Tralasciando i lati positivi e negativi, le relazioni tra spostamenti, gentrifìcation e territori abbandonati, oggi molti processi di questo tipo sembrano essersi inceppati. Il meccanismo rigeneratore e riqualificatore che sembrava dover rivoluzionare le nostre città durante gli anni ‘90, sembra non avere più la forza di un tempo. La crisi economica e i la minor quantità di capitale da poter investire sono una causa della diminuzione di questi processi, ma in molti territori l’esigenza di un intervento continua ad esserci {ibid.). Il quartiere de La Belle de Mai di Marsiglia, se fosse entrato all’interno del perimetro di EuroMéditerranée, probabilmente avrebbe potuto subire un processo di questo tipo, trasformando radicalmente la sua struttura socio-spaziale. L’espansione di questo quartiere è dovuto storicamente alla presenza della più grande industria di tabacco di tutta la Francia. Oggi questa industria è diventata La Friche de La Belle de Mai, polo culturale entrato nel grande progetto di EuroMéditerranée ad “edificio chiave” all’interno della propaganda nella candidatura di Marsiglia a capitale della cultura 2013 (MP13) (Andres, 2009). Questo grande progetto di rigenerazione urbana si trova all’intemo di un contesto cittadino povero, degradato e con una grandissima eterogeneità sociale. Questo progetto ha visto, come nella maggior parte dei progetti a livello globale, l’investimento di un’ingente somma di denaro, una moltitudine di attori in gioco e l’inseguimento di un progetto culturale che non rispecchia la realtà di quartiere. Il territorio de La Belle de Mai non ha subito, fortunatamente, nessun processo di gentrification e il quartiere oggi mantiene le stesse caratteristiche che possedeva prima del progetto e potrebbe diventare un ottimo spazio sperimentale su cui studiare nuove chiavi d’uscita dai soliti processi rigenerativi. Il progetto di EuroMéditerranée ha preso in considerazione solo l’ex industria di tabacco disinteressandosi completamente del resto del quartiere, quasi come a voler disegnare un confine tra il dentro e il fuori. Questo confine grafico progettuale può essere traslato alla realtà, definendo due spazi urbani ben distinti, che convivono nello stesso territorio senza entrare in relazione. Il confine definito dai limite dell'area de La Friche determina le due realtà urbane e umane. Da una parte l’industria creativa de La Friche, vissuta dalla tanto discussa e promossa da Richard Florida classe creativa, che proviene da parti lontane della città, della Francia e d’Europa, definendo uno spazio di lavoro anonimo, conflittuale. Lo spazio, che sarebbe dovuto diventare anche uno spazio pubblico per il quartiere, è diventato solamente uno spazio di lavoro in cui la creatività rimane confinata all’interno dei tanti uffici sparsi per l’immensa area e l’assenza tangibile dell’arte tra i suoi corridoi non riempie di energia il visitatore che arriva pieno di aspettative. Risultando uno spazio di lavoro, al pari delle industrie del secolo scorso, lo spazio per molti abitanti del quartiere, ma non solo, risulta essere stretto. Le attività che vengono svolte e proposte non soddisfano a pieno i gusti di gran parte della popolazione marsigliese e del quartiere in particolare. La gente attirata dalle attività de La Friche proviene da altri quartieri della città ma sicuramente questo spazio è molto importante da un punto di vista pubblicitario per la città di Marsiglia attirando molti visitatori incuriositi dalla riqualificazione dello spazio. Le opportunità di lavoro per gli abitanti del quartiere sono poche e gli unici abitanti che frequentano lo spazio sono i giovani skater, che si ritrovano quotidianamente all’interno dello skatepark. Dall’altra parte invece abbiamo un quartiere rimasto fuori da tutte le politiche di EuroMéditerranée mantenendo il suo carattere. Palazzi fatiscenti, bar fumosi e interstizi abbandonati che diventano discariche richiamano l’attenzione di chi passeggia per le strade del quartiere. La Belle de Mai fa parte del 3° arrondissement insieme a Saint. Mourond, uno degli arrondissement più poveri della città (AGAM). Nonostante la natura popolare e operaia del quartiere. La Belle de Mai si distingue dagli altri quartiere periferici (periferici solo da un punto di vista politico-urbano ma non spaziale) per l’assenza delle famose Cité, che a Marsiglia sono delle vere e proprie roccaforti della criminalità, lasciando spazio ad architetture interessanti che vanno dai palazzi multipiano fino alle villette tipiche dei paesi di mare. Il continuo susseguirsi di colline definiscono un ambiente urbano confusionario, in cui le strade si incrociano, si dividono e si congiungono senza rendertene conto. E’ proprio passeggiando per queste strade che si può annusare, vedere e sentire la realtà popolare della città, un quartiere in cui la gente ha piacere di vivere la strada come luogo in cui sedersi a chiacchierare, giocare a pallone o comprare qualcosa da mangiare per la sera. Gli angoli delle strade sono affollate da capannelli di persone che discutono e davanti ai bar si ritrovano gruppi di amici intenti a commentare i risultati dell'OM. Se La Friche è diventata importante per il suo spazio interno capace di ospitare corridoi pieni di uffici, teatri, mostre etc.., il resto del quartiere può trarre della linfa vitale dalle sue abitudini, dalla sua mescola culturale e dal saper vivere la strada. Queste abitudini possono caratterizzare fortemente uno spazio urbano, basti pensare alla società araba capace di vivere la strada in maniera caotica ma piena di energia o guardando all’Italia, pensiamo alle famiglie meridionali sedute sui marciapiedi o in mezzo alla strada come se fosse il salotto di casa, o ancora, nel caso di Marsiglia, i furgoni della pizza che si distribuiscono a macchia d'olio alle uscite della metropolitana e negli angoli di città più affollati. Tutti questi esempi mi hanno fatto riflettere su cos’é realmente una città, su cosa e come può essere determinato un fatto urbano e quanto influisca la vita quotidiana su di essa. L’interesse principale dei miei studi ricade sullo spazio pubblico con un idea di spazio pubblico vissuto, trasformato, invaso dal cittadino e da chi lo abita. Altro elemento fondamentale è proprio quello delle automobili, sempre più spazi urbani sono confinati dalle grandi strade di percorrenza o infrastrutture. Il caso de La Belle de Mai è eloquente da questo punto di vista, l’area è definita da tutti i lati da grandi strade di percorrenza o dalla ferrovia. La capacità di ritrovare degli spazi pubblici in cui l’essere umano può tornare a vivere, a colorare e a valorizzarsi può essere un elemento importante per rendersi conto dell’importanza delle nostre strade e delle nostre piazze, in cui si creano i cittadini e gli abitanti e in cui è possibile imparare a condividere e collaborare. Un esempio interessante è la futura pedonalizzazione di Times Square che cambierà in modo radicale il modo di vivere uno degli incroci più trafficati e più famosi del mondo. Il progetto prevede la parziale pedonalizzazione dell’incrocio con la realizzazione di cinque piazze e la riqualificazione della zona da tempo degradata. Il processo è in continua evoluzione da circa dieci anni, sicuramente il progetto possiede dei lati positivi, in particolar modo da un punto di vista ambientale. Allo stesso tempo, il progetto (come dichiarano anche gli architetti progettisti) ha lo scopo si di pedonalizzare l’area per migliorare la vivibilità del quartiere, ma allo steso tempo vuole attirare un maggior numero di turisti, dandogli la possibilità di soffermarsi più a lungo sull’area. Certo stiamo parlando di un altro contesto ma la restituzione di uno dei nodi principali del traffico newyorkese ai pedoni e ai ciclisti potrebbe essere simbolicamente un caso importante. Altri casi interessanti sono rappresentati da alcuni progetti di Collectif etc, gruppo di architetti da sempre attenti sul tema degli spazi urbani, sia da un punto di vista architettonico che sociale. Uno su tutti, citerei il progetto AutoBarrios SanCris che prevedeva la riqualificazione di un sottopasso che divideva il quartiere di San Cristobai De Los Angeles di Madrid. La collaborazione tra l’associazione Collectif etc, l’associazione Basurama e gli abitanti del quartiere ha portato alla realizzazione di un progetto dal grande valore simbolico sia da un punto di vista architettonico, data la trasformazione radicale dello spazio, che da un punto di vista sociale, rendendo vivibile uno spazio che fino ad allora era rimasto dimenticato. Molti di questi progetti prendono anche in considerazione le basi della progettazione partecipata. Questo tipo di pratica urbana credo che non possa essere utilizzata in maniera generalizzata, cioè all’interno di qualsiasi tipo di processo architettonico, urbanistico, politico o economico, però sono convinto che all’interno di micro interventi capaci di ridar vita ad alcuni angoli della città può essere un metodo interessante. Il rendere partecipe un cittadino all’interno delle pratiche di progettazione urbana, può diventare una pratica consueta nella progettazione di spazi urbani. La progettazione partecipata, incrementa l’impegno degli abitanti non da un punto di vista progettuale, ma da uno organizzativo ed esecutivo in modo da trasformare l’idea che i cittadini hanno degli spazi pubblici, facendoli sentire propri, migliorando la visione miope che si ha di se stessi. La riqualificazione degli spazi pubblici correlata ad un lavoro di coesione sociale può essere un argomento importante nella rigenerazione di angoli di città dimenticati all’interno dei frammentati territori periferici. Il saper valorizzare ciò che abbiamo senza investire quantità ingenti di denaro può essere un modo valido per dare energia nuova a questi spazi e allo stesso tempo la componente sociale può ridare energia a se stessa, sentendosi più partecipe nella società odierna. Il progetto partecipato può diventare un motore importante di rigenerazione spaziale, in particolare di quegli spazi che sono sotto gli occhi di tutti senza che nessuno se ne occupi. Un esempio a riguardo può essere l’aiuola all’incrocio tra corso Regina e corso Belgio, a Torino, in cui un abitante della zona ha deciso di prendersene cura, trasformandolo in uno spazio curato, a mio avviso bello e ricco di significato. Quegli ambienti urbani “difficili”, possono diventare banchi di prova importanti in cui la riorganizzazione degli spazi pubblici dovrà essere determinata dall’aiuto e dalla volontà di chi li abita. Ci troviamo di fronte sempre più edifici, spazi e strade che molte volte non riescono a rappresentare la società che poi li vive. Il non dare modelli di riferimento, lasciare la libertà del “fare” a chi utilizza determinanti spazi può diventare un elemento importante per risolvere problemi architettonici ma anche sociali di zone che oggi si trovano in difficoltà. Il nostro periodo storico deve farci capire che non esistono solo architetture “belle” e “famose”, nei posti più in vista da tutti, ma esistono anche architetture utili, che ci possono rappresentare, ci mescolano e ci danno l’opportunità di vivere uno spazio condiviso che sarà capace solo di farci crescere mentalmente e spiritualmente in cui ognuno di noi può riconoscersi. |
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Relatori: | Francesca Governa |
Tipo di pubblicazione: | A stampa |
Soggetti: | U Urbanistica > UK Pianificazione urbana |
Corso di laurea: | Corso di laurea magistrale in Architettura Costruzione Città |
Classe di laurea: | NON SPECIFICATO |
Aziende collaboratrici: | NON SPECIFICATO |
URI: | http://webthesis.biblio.polito.it/id/eprint/4065 |
Capitoli: | INDTRODUZIONE I. LA COMPETIZIONE URBANA 1.1 Città competitiva 1.2 Città creativa II POLITICHE CULTURALI E POLITICHE URBANE II.1 Introduzione II.2 Gentrification II.3 Campo creativo II.4 Conclusioni III. MARSIGLIA, TRA GRANDE PROGETTO E CONFLITTI III.1 Marsiglia III.2 Ruoli che si intrecciano: EuroMed, ECOC, MPM III.3 EuroMéditerranée IV. LA BELLE DE MAI IV.l La Friche de La Belle de Mai, azioni urbane culturali IV.2 La Storia della SEITA IV.3 La Friche: il ruolo dell’associazione SFT IV.4 L’importanza de La Friche a diverse scale IV.5 Un distretto tradizionale ma non un quartiere creativo IV.6 Problematica da grande progetto V. VUOTI URBANI V.l Spazi Pubblici, tra partecipazione e appartenenza V.2 Microprogetti partecipati come luogo di sperimentazione V.3 Scelta dei luoghi CONCLUSIONI RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI INDICE DELLE FIGURE |
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