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Flessibilità ed individualizzazione come risposta alla nuova complessità urbana

Elisa Brigando

Flessibilità ed individualizzazione come risposta alla nuova complessità urbana.

Rel. Matteo Robiglio. Politecnico di Torino, Corso di laurea magistrale in Architettura Costruzione Città, 2014

Abstract:

INTRODUZIONE:

Il secolo appena trascorso ha registrato una modifica radicale nei modi di abitare dei paesi industrializzati. L’abitazione è diventata un bene di consumo che ha convogliato le ricerche e le pratiche progettuali verso il "mercato del prodotto" più che verso i bisogni dell’utente. Questa strada ha spesso portato alla ricerca di nuove soluzioni più economiche e alla reperibilità dell’abitazione, andando a scapito degli aspetti qualitativi e sorpassando le tradizioni culturali e costruttive dei singoli luoghi.

In vari paesi il cambiamento delle caratteristiche del contesto socio-economico e le tendenze delle politiche abitative stanno spostando l'attenzione della classe dirigente non più solamente sui ceti più deboli, come era successo in precedenza, ma anche verso il ceto medio. Con la crisi economica, il calo delle vendite nel mercato immobiliare è dovuto prevalentemente alle difficoltà proprio di questa fascia della società. Contemporaneamente nuovi vincoli di natura ambientale ed il bisogno di ripensare l’ambiente urbano fanno da propulsori a nuove ricerche, nuove riflessioni ed esperienze sulle quali conviene soffermarsi per delineare i futuri scenari della città.

Se la standardizzazione e la zonizzazione, l’existenzminimum, l’igiene e l’efficienza ergonomica sono stati i baluardi della progettazione del secolo scorso, l'adattabilità e la flessibilità, la personalizzazione e la riconoscibilità della propria abitazione tra le altre, l'individualità e la ricerca di privacy, l’integrazione con il contesto e la sostenibilità sono destinati a diventare i nuovi paradigmi dell’abitare. Quindi quali tipologie abitative è necessario utilizzare nelle nostre città per rispondere ad una società in continua evoluzione?

Come si possono costruire città socialmente, economicamente e ambientalmente sostenibili in grado di tenere conto nei loro processi progettuali sia degli abitanti che dell’ambiente?

Oggi più che mai bisogna riportare il dibattito sulla questione abitativa: alcune iniziative del governo come il Piano Casa, dove nel 2009 era stato previsto un piano di costruzione di 20 mila nuovi alloggi sul modello dell'housing sociale, finite poi purtroppo prevalentemente alla vendita, non hanno però risolto i problemi fondamentali. Il disagio abitativo ha ormai assunto i caratteri dell’emergenza nazionale. E’ aumentata significativamente la domanda di alloggi a canoni moderati da parte di tutte quelle famiglie che si rivolgevano al mercato degli affitti privati, escluse dalle soglie di povertà, che hanno visto negli ultimi dieci anni diminuire il loro potere d’acquisto.

"Le radici dell'emergenza abitativa contemporanea sono profondamente diverse dalla storica vertenza casa. Per soddisfare il fabbisogno abitativo degli anni '70 bastava costruire più case. Oggi se ne costruiscono in abbondanza, ma solo in libero mercato, e la fascia di persone che se le possono permettere si assottiglia. La chiave del problema è nella quota di affitti a prezzi sociali,[...] mentre in Italia il culto della casa viene incoraggiato come un fenomeno di identità culturale”.

Da questa riflessione si possono dedurre due problematiche principali: la difficoltà dei cittadini a trovare delle abitazioni a prezzi bassi e la sovrabbondanza del patrimonio edilizio.

Ma è possibile trovare una soluzione unica per entrambe? Come si può riconvertire l’eccedenza per venire incontro ai bisogni degli utenti?

Basti pensare che più dell’ 80% delle costruzioni, nella maggior parte dei paesi europei, esiste già. Quello che si costruisce ormai dovrebbe normalmente durare fino al 2060, a meno che si prenda in considerazione la possibilità, da alcuni sostenuta, che la strada della nuova architettura sia quella di diventare un prodotto di breve durata, con spazi facilmente modificabili per adeguarsi alle trasformazioni sociali, in sintonia con la maggiore mobilità delle persone e che dunque vengano proposte case costruite con materiali riciclati in grado di durare un tempo massimo di 15 anni per poi essere abbattute.

Più realisticamente i modelli abitativi che si stanno delineando nel futuro della progettazione sono di due tipi:

-moltiplicare le opzioni per tentare di rispondere alle diversità; è il modello dell’automobile”: alloggi per giovani, per anziani, per famiglie monoparentali, per handicappati, per famiglie classiche e per famiglie numerose, per emigranti. Per ognuna di questa "serie di prodotti" sono proposte gamme variabili a seconda del potere d'acquisto degli utenti. La soluzione ultima di questo tipo è "l'alloggio di consumo”.

-L’altra opzione è il modello "alloggio flessibile" la cui struttura può essere trasformata e adattata all’evoluzione dei suoi abitanti o ai nuovi bisogni che con il tempo si determinano. Si tratta di pensare a case flessibili ed ampliabili in grado di modificarsi adattandosi alle nuove esigenze e alle disponibilità economiche dei singoli. E oggi è utile sfruttare appieno le infinite opzioni progettuali e tecnologiche offerte per trovare soluzioni flessibili, evolutive e creative.

Ognuno di questi modelli ha particolarità funzionali ed economiche diverse: il modello ad "opzioni" presuppone una conoscenza molto precisa di quello che è necessario, mentre il modello "flessibile" deve essere in grado di integrare tutti i cambiamenti possibili.

Si tratta dunque di un nuovo metodo progettuale disposto ad assumere come input le reali esigenze degli utenti. Spesso bisogna accogliere nel progetto previsioni di modifiche, immaginare scenari futuri possibili e partire dal presupposto che la "casa” sia sempre meno rigida e che debba seguire ed accogliere le evoluzioni continue della società, dei suoi desideri e bisogni, superando i limiti imposti dalle normative e dai regolamenti edilizi basati ancora su questioni igieniche dell'Ottocento, che vincolano la progettazione con standard obsoleti.

E'ormai assodato che le esigenze dell’utenza sono in evoluzione continua sia in relazione all'evoluzione del nucleo familiare, sia nella più ampia composizione sociale. Pertanto sarebbe un errore continuare a progettare edifici "statici", definiti in rapporto ad uno standard familiare che ormai non esiste più. Emergono nuove esigenze legate a specifiche condizioni sociale o a carenze dell'amministrazione pubblica, come ad esempio la presenza sempre crescente di anziani, di disabili e di utenze deboli, a carico dei nuclei familiari di provenienza, che richiedono spazi appositi ed adeguatamente attrezzati. O ancora l’incremento d’immigrati che necessitano di spazi adeguati ai loro modelli di vita.

Forse sarebbe utile tornare a guardare quelle intuizioni e proposte progettuali sviluppate da alcuni esponenti del Movimento Moderno europeo e dei primi anni ’60 più attenti alle necessità di offrire nuove soluzioni per allargare l'offerta residenziale al numero più ampio possibile di persone nel rispetto delle possibilità individuali.

Quindi perché non proporre un qualcosa di simile alla "casa ampliabile destinata ad una comunità di disoccupati” realizzata a Berlino nel 1931 da Alexander Klein?

Si trattava di un progetto inserito all’interno di un programma di costruzione d’insediamenti residenziali rivolto alle fasce più deboli della società. Tale intervento prevedeva la costruzione di case unifamiliari da assegnare a disoccupati con un proprio terreno dove coltivare i prodotti agricoli da poter consumare direttamente. Le case erano di dimensioni ridotte al minimo, costruite con materiali locali, tecnologie semplici e già predisposte per essere ingrandite non appena le condizioni familiari fossero migliorate.

Espansione comunque controllata dal progettista che aveva pensato a dei limiti massimi per controllare lo sviluppo volumetrico nel rispetto dei vincoli urbanistici imposti.

Alla configurazione iniziale infatti, composta da un unico ambiente nel quale era presente un angolo cottura, un tavolo per il pranzo ed un letto, oltre ad un gabinetto con accesso dall'esterno, era predisposto un ampliamento che prevedeva l'aggiunta di una camera da letto matrimoniale con accesso diretto dal soggiorno. L’organizzazione dei servizi igienici si sarebbe fatta più articolata con l’introduzione di un bagno interno, senza però rinunciare a quello esterno.

Un secondo ampliamento invece prevedeva l’inserimento delle camere dei figli, una delle quali poteva essere subaffittata per avere un introito economico.

Un’ulteriore espansione prevedeva l’innesto di una lavanderia/dispensa che collegava la zona della casa destinata alla cucina ai locali di servizio destinati al lavoro agricolo, già presenti alla costruzione della prima fase dell'edificio.

Più interessante perché utilizzata ancora oggi come base teorica dei principali progetti flessibili costruiti in questi anni, è la ricerca condotta da John Habraken all'interno del SAR ( Stichting Architecten Research), associazione fondata da lui stesso ad Eindhoven nel 1964. L’architetto studia diverse tipologie abitative definite "non finite" sono delle strutture di supporto (che egli stesso chiama appunto support), delle intelaiature predisposte strutturalmente ed impiantisticamente ad accogliere l'inserimento di unità abitative (chiamate infili) scelte dall’utente, che possono variare nel tempo adattandosi all’evoluzione delle sue esigenze, o addirittura rinnovandosi completamente, qualora l’inquilino cambiasse. Questo tipo di struttura permette un’alta interazione tra l'abitante e lo spazio della sua casa, avendo una notevole flessibilità d'uso ed una grande possibilità di personalizzazione.

Sintetizzando le varie forme che interpretano il concetto di flessibilità, si potrebbe classificare la flessibilità stessa in tre diversi livelli:

-Il primo è la "flessibilità iniziale o di progetto" che si attua mediante la definizione, in sede di progetto, di un esteso repertorio di soluzioni rispondenti alle esigenze dei futuri utenti;

-Il secondo è la "flessibilità d’uso” che consiste nella possibilità di modificare l'assetto iniziale dello spazio interno con interventi il più semplice possibile sugli elementi costruiti;

-Il terzo livello è la " flessibilità nel tempo o programmata” che si attua attraverso l’impiego di elementi tecnici appositamente studiati per garantire la possibilità di modificazione dell’assetto spaziale in rapporto all’evoluzione del nucleo familiare. Di fatto questo livello non deve escludere gli altri, ma inglobarli nelle soluzioni che possano mutare in tempi diversi.

Quando si affronta il progetto flessibile dunque è necessario già in fase ideativa individuare i futuri possibili assetti e i livelli di variabilità che dovranno essere garantiti nel tempo. Per semplificare, si possono definire i seguenti gradi di flessibilità in relazione alle scelte di progetto:

-grado soft attuabile senza alcun incremento dei costi per l’utente, mediante scelte progettuali che consentono alternative nella disposizione degli arredi e nell’uso degli spazi stessi;

-grado semi-soft che implica delle disposizioni in fase progettuale e di costruzione per consentire alcune variazioni nella distribuzione prevista, ossia vengono proposte all’utente alternative compatibili col progetto. Tali interventi comportano un aumento di costi minimo durante la realizzazione della costruzione;

-grado semi-hard che consente variazioni distributive durante la fase d’uso dell’abitazione. Richiede la predisposizione di particolari tipi di partizioni (ante e porte scorrevoli, pareti attrezzate...), l'individuazione di blocchi o nuclei di servizi e impianti. Soluzioni di questo tipo comportano un aumento di costi sia durante la fase di realizzazione che in fase d’uso.

-grado hard si realizza quando non sia stato previsto alcun grado di flessibilità nell'ambito della progettazione. Ogni variazione comporterà interventi di notevoli costi e disagi per l’utente.

Le nuove soluzioni quindi dovranno essere capaci di adattarsi alle richieste specifiche dell’utenza, alle dimensioni del lotto, alle caratteristiche del contesto, perché è l’architettura che si deve adattare agli uomini, non il contrario.

Relatori: Matteo Robiglio
Tipo di pubblicazione: A stampa
Soggetti: A Architettura > AH Edifici e attrezzature per l'abitazione
Corso di laurea: Corso di laurea magistrale in Architettura Costruzione Città
Classe di laurea: NON SPECIFICATO
Aziende collaboratrici: NON SPECIFICATO
URI: http://webthesis.biblio.polito.it/id/eprint/3795
Capitoli:

INDICE:

INTRODUZIONE

PREMESSA METODOLOGICA

I CASI STUDIO

Edifìcio Sperimentale NEXT21

Quartiere speriementale Wohnalange

Edifìcio sociale Wohnregal

Edifìci residenziali Òkohaus

Maison Médicale

Case a pianta libera. Casa evolutiva

Intervento sociale Quinta monroy

Intervento sociale Villa Verde

Quartiere Borneo-Sporenburg

Quartiere Sluseholmen

Quartiere Caroline von Humboldt weg

Quartiere su Bernauer Strasse

Open House

CONCLUSIONE

APPENDICE

SUNSLICE: un caso di applicazione

BIBLIOGRAFIA

SITOGRAFIA

RINGRAZIAMENTI

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