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Mega(Seoul), slum in megacity : una proposta per il queartiere Baeksa-maeul

Sangeun Lee

Mega(Seoul), slum in megacity : una proposta per il queartiere Baeksa-maeul.

Rel. Massimo Camasso. Politecnico di Torino, Corso di laurea magistrale in Architettura Per Il Progetto Sostenibile, 2014

Questa è la versione più aggiornata di questo documento.

Abstract:

Introduzione

Slum in Megacity

Il 31 ottobre 2011 la popolazione mondiale ha raggiunto i 7 miliardi. Si stima che nel 2050 essa raggiungerà i 9,3 miliardi, quasi il quadruplo rispetto al 1950. L’aumento più consistente si verificherà nel paesi in via di sviluppo, nei quali nel 2050 vivranno ben 8 miliardi di persone: le regioni maggiormente interessate da questo fenomeno saranno l'America Latina, l’Asia e l'Africa.

All'interno di questo fenomeno, un aspetto importante da sottolineare è la crescita della popolazione urbana. Nel 2050 infatti, circa 6,2 miliardi di persone, pari al 66% della popolazione totale, vivranno in città. Nel 1950 ci viveva solo il 29% della popolazione mondiale, nel 2010 il 52%. Nel 2013 si contavano ben 23 megalopoli nel mondo.

Nella classifica delle più popolose le prime 8 sono in Asia tra cui Tokyo, Jakarta, Seoul, Guangzhou, Delhi, Shanghai, Karachi e Manila, tutte con oltre 20 milioni di abitanti.

A Seoul si assiste ad una crescita esponenziale della popolazione da 50 anni, oggi ha 13 milioni di abitanti e secondo l’UN-Habitat è la quinta megacity nel mondo.

Mentre Seoul si trasforma in una megacittà il contesto urbano diventa sempre più ridotto e problematico.

Il Caos edilizio, la mancanza del verde, il traffico delle auto, l’inquinamento atmosferico, acustico ed idrico rendono la città sempre meno vivibile sia dal punto di vista fisico che da quello psicologico e sociologico.

Robert Venturi, Denise Scott Brown e Steven Izenour nel libro “Learning from Las Vegas” dissero che “imparare dal paesaggio esistente è, per un architetto, un modo di essere rivoluzionario. Non nel modo più ovvio, ovvero demolendo Parigi e ricominciando daccapo, come suggeriva Le Corbusier negli anni Venti, ma in un modo diverso, più tollerante; ovvero domandandosi come guardiamo le cose”. Però guardando Seoul sembra che sia stata scelta la prima ipotesi suggerita da Le Corbusier. Noi in Corea in cinquanta anni di rapida crescita abbiamo portato via l’architettura simbolica e insita della cultura coreana. L’abbiamo eliminata perché nel periodo di massimo sviluppo urbano abbiamo importato l'architettura occidentale e ci siamo concentrati troppo sulla crescita della ricchezza e sull’altezza degli edifici.

Secondo Alfredo Brillembourg e Hubert Klumpner le città informali vivranno uno sviluppo massiccio nei prossimi decenni, sviluppo paragonabile alla crescita registrata in Europa e Nord America uno o due secoli fa. Da un punto di vista occidentale forse hanno ragione, però le città informali e quelle formali sono così diverse che sarebbe inutile confrontarle. Magari i cittadini della città informale non sono così scontenti come si crede.

Mumbai, l'ex Bombay, la città più ricca dell'India ha anche un altro primato: è la città con più baraccopoli.

Una delle più famose è Dharavi, che è normalmente conosciuta come “il più grande slum dell’Asia” o ‘‘la più grande baraccopoli del mondo”.

A Dharavi sono stati attuati vari progetti governativi, anche con la collaborazione di famosi architetti per cercare di riqualificare quest’area, ma sempre concentrandosi sulla crescita della ricchezza. Alcuni grattacieli sono stati costruiti per spostare gli abitanti di Dharavi. Ma la gente non voleva lasciare quel micro-mondo fatto di convivenze strette e trasferirsi nei grattacieli. Un abitante di Dharavi diceva “Qui se ti ammali trovi sempre qualcuno che ti aiuta mentre in quelle case saremmo soli”.

Ma il vero problema è che come succede anche a Seoul, nello slum gli affitti costano poco e non ci sono i servizi comuni da pagare mentre i grattacieli avrebbero costi molto più elevati e alla fine verrebbero abbandonati senza manutenzione.

Le rooftop communities di Hong- Kong provano a condividere lo spazio temporaneamente. Sono come micro-città sovrapposte alla città esistente e crescono sui tetti spontaneamente. La maggior parte degli abitanti si è trasferita dai vecchi quartieri di Kow-loon walled city, Kwun Tong e Tai kok Tsui. Questi quartieri erano i più grandi insediamenti in Cina, soprattutto Kowloon walled city la cui popolazione era la più alta del mondo con un numero incredibilmente alto di l,255,OOOab/mq, poi demolito tra gli anni '80-90 dal governo cinese per realizzarvi un Parco e costruire altri quartieri ‘regolari’. Gli abitanti si trasferiscono in un altro quartiere sui tetti di alcune case. Questo fenomeno ci mostra che demolire uno slum non risolve il problema anzi crea altri quartieri più forti, più grandi e più nascosti.

A questo punto i ricercatori di Rooftop communities Stefan Cangam e Rufina Wu si domandano: perchè migliaia di persone preferiscono vivere aggrappate alla sommità dei palazzi del centro piuttosto che accettare di trasferirsi negli alloggi popolari che stanno sorgendo nelle new towns a decine di chilometri di distanza?

A questa domanda provo a rispondere con un’altra domanda: perché loro devono trasferirsi? Per loro forse non è di fondamentale importanza abitare in un alloggio ‘regolare’, hanno piuttosto l'esigenza di vivere vicino ai propri luoghi di lavoro.

Ripensare la città informale asiatica potrebbe portare alla discussione sull’urbanismo informale a superare una volta per tutte la visione umanitaria di compassione per la città dei poveri, riuscendo a coglierne il suo valore come crogiuolo dell’innovazione. Adattabilità, flessibilità, resistenza e molti altri aspetti che la caratterizzano potrebbero entrare di diritto nella più ampia trattazione dell'urbanismo come criteri di progettazione. Tuttavia per arrivare a comprendere e plasmare l’urbanismo contemporaneo è necessario abbandonare le dicotomie che sinora hanno definito i termini del dibattito. La discussione dovrebbe invece essere impostata su termini diversi, ad esempio il carattere ibrido dei contesti urbani, la simultaneità o le nozioni di coesistenza. Inquadrare in modo nuovo il dibattito sull’informalità contribuirebbe a promuovere questa forma innovativa di urbanizzazione e ad integrarla nella discussione sull’urbanizzazione e sull’urbanismo contemporaneo. Se cambiamo prospettiva, la città informale potrebbe finalmente essere vista non come una condizione da correggere ma piuttosto come un fenomeno contagioso che riforma e umanizza le città.

Relatori: Massimo Camasso
Tipo di pubblicazione: A stampa
Soggetti: A Architettura > AO Progettazione
SS Scienze Sociali ed economiche > SSA Antropologia culturale
Corso di laurea: Corso di laurea magistrale in Architettura Per Il Progetto Sostenibile
Classe di laurea: NON SPECIFICATO
Aziende collaboratrici: NON SPECIFICATO
URI: http://webthesis.biblio.polito.it/id/eprint/3690
Capitoli:

Indice

INDICE

PREFAZIONE

INTRODUZIONE

CAPITOLO 1: DDP

1.1_ DDP

1.2_ DONGDAEMUN STADIUM

CAPITOLO 2: MEGA[SEOUL]

2.1_ GEUMHO-DONG E SANTORINI

2.2_MEGA SEOUL

2.3_ UN RAPIDO SVILUPPO

2.4_ MOON’S VILLAGE

CAPITOLO 3: SMALL[VILLAGE]

3.1_ GLI ULTIMI MOON’S VILUXGE A SEOUL

3.2_ INSEDIAMENTO SPONTANEO E OBBLIGATO

3.3_ BAEKSA-MAEUL

3.4_ OCCUPAZIONE DELLO SPAZIO PUBBLICO

CAPITOLO 4: SMALL[ARCHITECTURE]

4.1_ CONSISTENZA DEL CONTESTO URBANO

4.2_ AZIONI PROGETTUALI PER LA RIATTIVAZIONE

4.3_SELF-HELP BOOK

BIBLIOGRAFIA

RINGRAZIAMENTI

Bibliografia:

Bibliografia

libri

Benjamin Walter, Immagini di città, Einaudi, Torino, 2007

Bernard Rudofsky, Strade per la gente. Architettura e ambiente umano, Editori Laterza, Bari, 1981

Colin Rowe, College city

Rahul Meghotra, Re-thinking the informal city, Area #128

Rem Koolhaas, Singapore Songllnes: Ritratto di una metropoli potemkin...o trent'anni di tabula rasa, Quodlibet, 1995

Rem Koolhaas, Generic city, Quodlibet, Macerata, 2006

Robert Venturi, Denise Scott Brown e Steven Izenour, Learning form Las Vegas, Cam-bridge(Mass), 1972

Kevin Lynch, L’immagine della città, 2006 Marcos L.Rosa, Handmade urbanism, Berlin, 2013 Mike Davis, Il pianeta degli slum, Feltrinelli, 2006

Yona Friedman, L’architettura di sopravvivenza. Una filosofia della povertà, Bollati Boringhieri, Torino, 2009

Fulvio Irace, Made in slums: Mathare//Nairobi, Feltrinelli, Triennale design museum, Milano, 2013

riviste

Area #128 Informai community

Arch+ #211/212 Think global, build social

.Domus, Torre david, 8 feb 2013

siti web

http://vwvw.nsl.ethz.ch/index.php/it/content/view/full/2582

http://www.opendemocracy.net/opensecurity/camillo-boano/architecture-must-be-defended-informality-and-agency-of-space

http://www.spatialagency.net/

http://esa.un.org/unpd/wpp/index.htm

http://www.designboom.com/architecture/city-of-darkness-revisited-greg-gi-rard-ian-lamPot-hong-kong-03-31-2014/

http://www.ddp.or.kr/CM010005/getDetaiilnitPage.do

www.engiish.seoui.co.kr

http://www. iroje.com/

www.ngii.go.kr

www.nowon.k

www.naver.com

www.nwcc.or.kr

http://kostat.go.kr

http://stat.seoui.go.kr

video

https://vimeo.com/43952360

https://vimeo.com/43113613

https://www.youtube.com/watch?v=43oYUcyYec

https://www.youtube.com/watch?v=C1PCIvgzZol

https://www.youtube.com/watch?v=oGD670pOeto

https://www.youtube.com/watch?v=f8l8Js46DsU

https://www.youtube.com/watch?v=HLGYq7ThTXE

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